"Penso che non ci piacerà. Per noi non sarà più attraente di prima". Se Stati Uniti, Ucraina ed Europa stanno cercando la quadra per un nuovo documento che possa chiudere la guerra in Ucraina, le parole del consigliere di Putin Juri Ushakov, chiudono al dialogo ancora prima che possa iniziare. Anche perché uno dei più ascoltati nel cerchio magico del Cremlino non usa esattamente toni distensivi quando per esempio, parlando del Donbass, spiega che il referendum proposto da Zelensky è inutile perché si tratta di "territorio russo". Mentre su un altro tema caldissimo per arrivare a un compromesso, l'ingresso dell'Ucraina nella Ue, rimane in bilico.
Non esattamente il clima più propizio per un negoziato credibile. Ushakov attacca su tutti i fronti: "Prima o poi, se non attraverso negoziati, allora con mezzi militari, il Donbass passerà sotto il pieno controllo della Russia. Tutto il resto dipenderà solo da questo", ha detto, aggiungendo che un cessate il fuoco potrà avvenire "solo dopo il ritiro delle truppe ucraine". E ancora: "Dopo? È possibile che non ci saranno truppe dirette, né russe né ucraine. Sì, ma ci sarà la Guardia Nazionale russa, ci sarà la nostra polizia, ci sarà tutto il necessario per mantenere l'ordine", ipotizzando quindi una zona demilitarizzata ma sotto il pieno controllo russo. Non proprio una soluzione di compromesso. A rincarare la dose anche il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov secondo cui è assurda la proposta di Zelensky di indire un referendum in Donbass sul tema delle concessioni territoriali. "Se si tratta di creare un pretesto per chiedere un cessate il fuoco, una pausa o una tregua al fronte, questo non passerà". Parole intrise di pacifismo militante. Che il Donbass resti centrale in ogni ipotesi di dialogo lo dimostrano le indiscrezioni del francese Le Monde secondo cui l'Ucraina sarebbe pronta ad accettare concessioni di zone alla Russia e a creare una zona demilitarizzata nella regione contesa. "Interpretazioni errate", taglia corto l'ufficio presidenziale di Kiev. "Se l'Ucraina sia d'accordo o meno può essere deciso solo al più alto livello politico o dal popolo ucraino". E in serata, anche l'Eliseo conferma: "Gli ucraini non hanno fatto alcun accordo sui territori, non ne prevedono oggi e non prevedono alcuna zona demilitarizzata", spiega Parigi.
Altro nodo, l'adesione all'Unione europea che secondo l'ultima bozza potrebbe arrivare entro il 2027, con una tempistica accelerata che, però, stravolgerebbe in toto l'approccio di Bruxelles. L'Ucraina non ha ancora completato formalmente nessuna delle fasi del percorso necessario all'ingresso nell'Ue e inoltre non mancano gli ostacoli interni, primo fra tutti il leader ungherese Viktor Orbán. Da sempre filo-Mosca e anti-Kiev, Orbán potrebbe essere convinto, secondo il Financial Times, dal presidente Usa Donald Trump. "Trump potrebbe ordinare a Orbán di ritirare il suo veto", scrive il quotidiano, anche se i segnali che arrivano da Budapest sembrano confermare una linea differente. "Noi ungheresi, come membri della Nato, respingiamo le parole del segretario generale! La sicurezza dei Paesi europei non è garantita dall'Ucraina, ma dalla Nato! Dichiarazioni così provocatorie sono irresponsabili e pericolose! Chiediamo a Mark Rutte di smetterla di alimentare le tensioni militari!", ha detto il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjartó.
Ma si sa, Trump è uomo d'affari e Orbán è aperto a offerte convenienti. Se lo scoglio fosse questo, sarebbe quindi superabile. Ma dalle parti del Cremlino le parole "dialogo" e "compromesso" suonano peggio anche di "democrazia".