Se la Russia è stata costretta a un primo, parziale, ritiro (ma attenzione ai trabocchetti) lo si deve certamente all'indomito popolo ucraino e al suo presidente. Ma poi, naturalmente, all'aiuto militare (sì, militare) e politico degli Stati Uniti del troppo vituperato Biden, del Regno Unito, dei paesi della Nato e della Ue.
Un ruolo importante, questa volta, l'ha però giocato l'Italia: o meglio il governo italiano, anzi meglio ancora Draghi come leader. Dopo un primo momento di sbandamento, il premier, peraltro alla sua prima vera crisi internazionale (e che crisi!) si è dimostrato possedere le idee chiare, schierandosi decisamente dalla parte di Biden e di Boris Johnson per quanto riguarda gli impegni militari, politici ed economici. Draghi inoltre non è stato meno duro dei presidente Usa e del primo ministro britannico nel definire Putin, mentre ad esempio Macron lo chiama ancora «signor presidente». Le parole contano, e se ne usi di melliflue forse vuoi essere prudente, ma forse vuoi lanciare dei segnali di pace (al ribasso). Draghi insomma è stato un «falco», come ha scritto qualcuno, e la cosa, scusate, ci pare ottima. Se essere sempre falchi è sicuramente un errore, lo è altrettanto essere sempre colombe, e purtroppo nella tradizione del nostro paese ha prevalso questa seconda vocazione. Sarà per la Costituzione che «ripudia la guerra», sarà perché abbiamo perso il secondo conflitto mondiale, siamo sempre stati attenti, nelle crisi, a trovare mediazioni, persino durante la guerra fredda, persino con i terroristi internazionali (ricordiamo il cosiddetto Lodo Moro). A volte ciò è stato saggio, ma altre abbiamo perso credibilità con gli alleati della Nato. Ora tutto questo con Draghi sembra finito: ed è stata propria la caparbietà del premier a far entrare l'Italia nel gruppo dei paesi «garanti» per Kiev. Come si vede, a volte per arrivare agli accordi bisogna usare i toni duri. E non era un compito facile. Se storicamente il paese europeo più filo russo è la Francia (e, negli ultimi decenni, la Germania), il nostro è certamente quello più anti-americano, come scrive spesso Angelo Panebianco. Un antiamericanismo diffuso a sinistra, ma anche a destra e al centro, in alto e in basso, tra cattolici e mangiapreti.
Nonostante questi umori, i governi della Prima ma anche della seconda Repubblica hanno sempre tenuta dritta la barra atlantica: per Draghi era però più difficile, vista la presenza nella sua maggioranza di due forze che con la Russia di Putin hanno intrattenuto lunghi rapporti.Doppio merito quindi, al premier, a cui non si può che tributare la palma di Mario l'Amerikano: per noi, si intende, il più importante dei complimenti.
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