Il presidente del Consiglio Mario Draghi schierava un tridente d'oro per conquistare il Colle: Giancarlo Giorgetti, Lorenzo Guerini e Luigi di Maio. Tre ministri del suo governo, con una forte presa nei rispettivi partiti: Lega, Pd e M5s. Il «tridente draghiano» non segna il gol decisivo: Draghi resta a Palazzo Chigi. Al Quirinale viene riconfermato il Presidente della Repubblica uscente Sergio Mattarella. Il capo del governo incassa la mezza sconfitta. I tre kingmaker di Draghi, da mesi, lavorano per il trasloco al Colle dell'inquilino di Palazzo Chigi. Quella che doveva essere una strada tutta in discesa, è diventata, per veti incrociati e congressi interni nei partiti, una montagna russa da scalare. E col passare dei giorni la meta si è allontanata. Fino a quando è stato lo stesso Draghi, nella serata di venerdì, in una telefonata con Mattarella, a chiedere il bis per sbloccare l'impasse.
La partita di Draghi per il Quirinale è iniziata ufficialmente un anno fa. Dopo l'approdo a Palazzo Chigi, l'ex numero uno della Bce ha puntato dritto l'obiettivo del Colle: un anno di governo prima del trasloco. La partita è entrata nel vivo il 22 dicembre 2021, nel corso della conferenza stampa di fine anno; Draghi rompe gli indugi, candidandosi, tra lo stupore di molti, alla più alta carica dello Stato. A tessere le file della rete quirinalizia, i due più stretti collaboratori: Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier, e Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Un team di primo piano, che però si perde nelle insidie di una partita parlamentare complicata. Di Maio, Giorgetti e Guerini hanno portato avanti una trattativa parallela, distinta da quella dei leader, Enrico Letta, Giuseppe Conte e Matteo Salvini, dei propri partiti. È qui che la partita del presidente del Consiglio si è bloccata. Impantanata. Affossata nelle paludi dei congressi permanenti delle tre forze politiche. Lo sponsor numero uno, per l'operazione Draghi, è stato, fin dall'inizio, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Il numero due della Lega puntava a un risultato: il definitivo sdoganamento del Carroccio. Piano che si è scontrato però con le ambizioni del segretario Matteo Salvini di ritornare al Viminale: una richiesta che non sarebbe stata accolta da Draghi. L'endorsement del premier al suo ministro degli Esteri Di Maio il 21 dicembre 2021 alla conferenza degli ambasciatori è una data cruciale, che segna l'arruolamento nel fronte pro Draghi del leader grillino.
Il titolare della Farnesina si è scontrato però con il no netto del capo dei Cinque stelle. Di Maio era convinto di spuntarla, in caso di voto in Parlamento, potendo garantire la fedeltà di una pattuglia di 100 grandi elettori. In cambio sperava di finire a Palazzo Chigi alla guida di un governo «benedetto» da Draghi dal Colle. Stesso obiettivo cui puntava il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Nel Pd, al netto del posizionamento tattico del segretario Letta sull'elezione di Draghi al Colle (Letta aveva dato l'ok a Elisabetta Belloni nella serata di venerdì), il no è arrivato dal ministro della Cultura Dario Franceschini e da parte di Andrea Orlando, ministro del Lavoro in quota dem. Troppo rischiosa l'operazione, tramontata definitivamente nella notte di venerdì. Altro ostacolo sorto sulla strada di Draghi verso il Quirinale, il «Dopo»: futuro della legislatura e nuovo assetto del governo.
Quando Draghi ha iniziato i colloqui con i leader delle forze politiche della sua maggioranza per sondare il terreno sulla praticabilità dell'ascesa al Colle ha incrociato le richieste sulla futura composizione della squadra di governo. Il premier avrebbe concesso la sola garanzia di non sciogliere le Camere. Ma nessun impegno o firma di cambiale in bianco sul prossimo governo. E qui che si è infranto il sogno quirinalizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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