Muore un altro dottore, infettato in ambulatorio aiutando i suoi pazienti

Roberto Stella, 67 anni, era stato presidente dell'ordine di Varese e lavorava a Busto Arsizio

Muore un altro dottore, infettato in ambulatorio aiutando i suoi pazienti

Ci sono poche parole più abusate di «eroe» in un'epoca e in un Paese nei quali chiunque si limiti a fare il suo dovere lo diventa in automatico, anche perché abbiamo abbassato talmente l'asticella dello spirito civico da rendere quello verso lo status di valoroso un saltello e non un volo. Epperò non sappiamo come altro definire chi, come Roberto Stella, ha contratto il coronavirus lavorando come medico e ci ha rimesso le penne. È morto ieri a 67 anni all'ospedale di Como, dove era stato ricoverato per insufficienza respiratoria dopo che il suo corpo era stato perlustrato da quel maledetto invasore che è il Covid-19.

Stella era stato presidente dell'Ordine dei medici e odontoiatri della Provincia di Varese ed era responsabile nazionale della formazione per la Federazione nazionale degli Ordini dei medici e presidente nazionale della Snanmid, società scientifica della medicina generale. Un medico pieno di galloni e responsabilità rappresentative che però, quando si metteva lo stetoscopio al collo, si trasformava in un «operaio specializzato» della salute, medico di base in un poliambulatorio a Busto Arsizio (Varese). Si era infettato quindi non in primissima linea, in un reparto di pronto soccorso di un ospedale preso d'assalto, ma nelle retrovie della guerra che stiamo tutti combattendo: curando e assistendo e rassicurando i suoi spaventatissimi assistiti, uno dei quali lo ha inconsapevolmente trascinato all'inferno. Anche un suo collega è risultato positivo, ma dovrebbe cavarsela. Qualche giorno dopo Stella era finito in terapia intensiva e alla fine non ce l'ha fatta, diventando uno dei caduti sul campo. «La morte di Stella dice ora Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) è una perdita enorme per la medicina generale e non solo. Lui rappresentava la capacità di impegno e sacrificio dei medici di famiglia. E la sua morte rappresenta il grido di tutti i colleghi che ancora oggi non vengono dotati di dispositivi di protezione individuale. È la drammatica testimonianza che siamo parte integrante di questo sistema sanitario nazionale oggi in emergenza, ma spesso le aziende sanitarie ancora sembrano non rendersene conto».

Stella è (purtroppo: per ora) il secondo medico italiano ucciso dal coronavirus. La prima vittima era morta qualche giorno fa all'ospedale Sant'Angelo di Mestre Chiara Filipponi, una anestesista cinquantasettenne dell'ospedale di Portogruaro che però non avrebbe contratto il Covid-19 lavorando ma nel corso di un ricovero per una malattia preesistente. Ciò che ha portato a un chiarimento da parte della Ulss 4 del Veneto, secondo cui la morte non sarebbe avvenuto direttamente per il virus ma «al termine di una lunga ed inguaribile malattia neoplastica». Quindi uno dei tanti morto «con» e non «per» coronavirus, che comunquel la statistica italiana annette all'emergenza.

In quell'occasione il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, Filippo Anelli, aveva che aggiunto: «Purtroppo abbiamo notizia di molti colleghi delle zone rosse e comunque del Nord Italia che si sono contagiati, presumibilmente durante lo svolgimento della professione. Alcuni di loro sono in gravi condizioni».

Sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, disse una volta Bertolt Brecht. Ma ancora più sventurato quel Paese che ai suoi eroi non riesce a fornire nemmeno una mascherina.

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