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Napolitano, l'ex comunista divenuto capo dello Stato (l'unico eletto due volte)

Napolitano, l'ex comunista divenuto capo dello Stato (l'unico eletto due volte)

Nella storia della Repubblica c’è stato un solo presidente che è stato rieletto. L'onore e l'onere è toccato a Giorgio Napolitano, eletto il 15 maggio 2006 al quarto scrutinio, con 543 voti (su 1009), poi di nuovo il 22 aprile 2013 al sesto scrutinio con 738 voti (su 1007). La seconda volta restò in carica meno di due anni.

Deputato del Pci (poi Pds) dal 1953 al 1996, europarlamentare dal 1989 al 1992 e dal 1999 al 2004, nella sua lunghissima carriera politica fu anche presidente della Camera, subentrando a Oscar Luigi Scalfaro nel 1992, quando questi fu eletto capo dello Stato, e ministro dell’Interno nel governo Prodi dal 1996 al 1998. Dal 14 gennaio 2015 è senatore a vita.

Nato a Napoli nel 1925 da un avvocato liberale e una donna figlia di nobili napoletani con origini piemontesi, frequentò il liceo Classico e si diplomò a Padova, dove nel frattempo si era trasferito con la famiglia. Nel 1942 si iscrisse a Giurispudenza, a Napoli, aderendo al Guf (universitari fascisti), occupandosi di critica teatrale per il giornalino degli studenti e, a sua volta, cimentandosi con la recitazione. Due anni dopo incontra alcuni esponenti dell'antifascismo e si avvicina al Pci, aderendovi ufficialmente nel 1945 e divenendo poi segretario federale. Si laurea, con una tesi di economia politica, e nel 1953 entra in Parlamento per la prima volta.

Esponente della corrente “migliorista” del Pci, quella considerata più a destra del partito, legata ai valori del socialismo democratico, tra gli esponenti comunisti fu più tra i più propensi alla ricerca di un’intesa con il Psi. Nel 1979 condannò l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione sovietica. Un passo avanti importante, visto e considerato che nel congresso del partito del dicembre 1956 elogiò l’intervento dei blindati di Mosca in Ungheria, sposando in pieno la linea dettata dal segretario Togliatti. Più tardi raccontò di aver vissuto un tormento autocritico verso quella posizione, ammettendo, in buona sostanza, di aver cambiato idea. Per il suo partito si occupò di Cultura e più tardi Economia e sindacati. Negli anni del compromesso storico fu il portavoce del Pci nei rapporti con il governo Andreotti.

Molto attivo all’estero, negli anni Settanta, fu il primo dirigente del Partito comunista italiano a ricevere un visto, nel 1978, per entrare negli Stati Uniti d’America. Tenne alcuni discorsi, all’università di Harvard e ad Aspen (Colorado). Dieci anni dopo, invece, gli arrivò un invito ufficiale nella sua veste di politico, occasione nella quale andò a parlare nelle più importanti università americane.

Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta entrò in conflitto con Berlinguer, criticandone l’arroccamento a sinistra in chiave antisocialista. Furono anni durissimi, di scontro politico intenso tra Craxi e Berlinguer, culminati con il referendum sulla scala mobile che vide i socialisti schierati da una parte (per l’abolizione) e i comunisti sull’altra parte della barricata. Napolitano cercò sempre di mantenere il dialogo coi socialisti, in Italia ma anche in Europa, affermando che quella, e solo quella, sarebbe stata la strada per il futuro dei comunisti italiani: disse a chiare lettere, nel 1986, che il riformismo europeo era il “punto di approdo per il Pci”.

Più tardi, negli anni di Tangentopoli, fu duro lo scontro con Craxi, leader del Psi finito nel mirino della magistratura milanese. Napolitano, presidente della Camera, scelse di non assecondare in alcun modo le richieste di Craxi ( (sul voto segreto) per le autorizzazioni a procedere contro i parlamentari, e l’esponente socialista non la prese bene. Parlando al palazzo di Giustizia di Milano, durante il processo Enimont/Cusani, Craxi disse: "Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del PCI e aveva rapporti con tutta la nomenkatura comunista dell'Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del PCI e i paesi dell'Est? Non se n'è mai accorto?".

Rieletto alla Camera, nel 1994, pronunciò il discorso del Pds per la dichiarazione del voto di sfiducia al governo Berlusconi. Terminato il suo intervento il Cavaliere andò a stringergli la mano, perché Napolitano, sia pure da posizioni politiche distanti, aveva auspicato un confronto non distruttivo tra maggioranza e opposizione, nell’interesse del Paese. Nel 1996 entrò al governo, al ministero dell’Interno: il primo ex comunista al Viminale. Con la collega di partito Livia Turco fu l’artefice della legge che istituiva i centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini. Senatore a vita dal settembre 2005 (nominato dal presidente Ciampi), il 10 maggio 2006 fu eletto capo dello Stato.

Nell’autunno 2011, con l’Italia sotto l’attacco degli speculatori internazionali e lo spread (differenziali tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi) salito alle stelle, con gravissime ripercussioni sui tassi di interesse, il governo Berlusconi IV cedette alle pressioni e si dimise, non appena varata la manovra di bilancio. Tempo un giorno e Napolitano nominò il professor Mario Monti senatore a vita. Mossa che tutti videro come la prova del disegno di dare vita a un governo tecnico. E così fu. Napolitano affidò l’incarico di governo a Monti. Le accuse che più tardi il centrodestra muoverà a Napolitano sarà quella di aver pilotato la crisi, allargando troppo la sua influenza sulla vita politica del Paese, di fatto andando oltre il dettato costituzionale.

La rielezione al Quirinale

Le elezioni Politiche del 2013 sanciscono una situazione di ingovernabilità. Nessuno degli schieramenti presentatisi (centrodestra, centrosinistra, Movimento 5 Stelle) ha ottenuto i numeri per governare. Napolitano affida un incarico esplorativo al leader del Pd, Pierluigi Bersani, che fa un giro di consultazioni ma non riesce a sbrogliare la matassa. Nel frattempo si conclude il mandato presidenziale e, in una situazione davvero complicata per le istituzioni (senza un governo e con il presidente in uscita) il Parlamento chiede a Napolitano di restare in carica. Il presidente accetta e il 20 aprile 2016 viene rieletto. Seguirà, con il mandato conferito a Enrico Letta, il primo governo di "larghe intese" della storia repubblicana, con l'alleanza tra Pd e Popolo delle libertà. L'esecutivo andrà avanti dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, quando Letta (disarcionato dal neo eletto segretario del Pd), lascerà il posto a Matteo Renzi.

Il 14 gennaio 2015 Napolitano rassegnò le proprie dimissioni, per problemi legati all'età avanzata, dopo averle anticipate nel suo discorso di fine anno agli italiani.

Giorgio Napolitano

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