Napolitano molla Renzi: non sarò complice del flop

La nota del Colle sulle voci di dimissioni anticipate: "Né conferme, né smentite". Ma Re Giorgio ha deciso: vuol mettere il premier davanti alle sue responsabilità

Napolitano molla Renzi: non sarò complice del flop

Giorgio Napolitano sul punto di abdicare: lo farà a metà gennaio. Se era nota l'intenzione di lasciare prima del 29 giugno (compie 90 anni), le circostanze di un'accelerazione erano cominciate a circolare fin da ottobre. Quando Renzi, forse tradendo con leggerezza una confidenza privata, all'ultima direzione del Pd aveva fatto «intempestivo accenno» alla nomina di un successore.

Il can-can inscenato sui giornali nei giorni scorsi è stato visto dal Colle con una certa sufficienza, se non qualche fastidio. Ne fa testo la nota ufficiale diramata ieri, nella quale si ricorda come «il presidente, nel dare la sua disponibilità alla rielezione, indicò i limiti e le condizioni - anche temporali - entro cui egli accettava il nuovo mandato». Per questo, si dice, la presidenza non ha «né da smentire né da confermare» e «restano esclusiva responsabilità del Capo dello Stato il bilancio di questa fase di straordinario prolungamento, e di conseguenza le decisioni che riterrà di dover prendere». Il punto nodale sta appunto nella parola «bilancio». Napolitano dà alle dimissioni un valore «politico», fermo restando il quadro personale di grande stanchezza fisica (è solito scrivere di suo pugno persino i telegrammi), e non solo. Qui si incardinano alcune motivazioni che forse resteranno nella penna del suo ultimo discorso a fine anno. La prima: Napolitano aveva accettato di restare a condizione che i partiti s'incamminassero sulla strada delle riforme. Ancora una volta, dopo l'iniziale slancio renziano, la situazione s'è incancrenita. Le dimissioni anticipate rimetteranno perciò i partiti, e soprattutto il premier Renzi, davanti alle loro responsabilità. Il presidente ha infatti più volte avuto l'impressione che la propria «copertura», in particolare mai mancata al premier, sia stata via via sempre più «strumentalizzata» e usata per minuetti che non hanno partorito nessun risultato. Sulle riforme in primis, ma anche su quei temi che Napolitano ha sempre considerato cruciali, come il rilancio dell'economia e dell'occupazione. Invece il governo naviga a vista, Renzi chiacchiera, promette, ma non produce fatti. «Non voglio essere complice di un fallimento»: è questa la molla decisiva per la decisione del Capo dello Stato.

C'è dell'altro. Il presidente in più d'una occasione ha avuto la sensazione che il giovanile impeto di Renzi travalicasse il garbo e la misura, com'è stato evidente durante la scelta del nuovo ministro degli Esteri. Provare a forzare la mano su dei nomi «impossibili e inadeguati», primo tra tutti quello di una dirigente della Farnesina priva di esperienza, Lia Quartapelle, è sembrata sul Colle una mancanza di senso delle proporzioni che ha molto infastidito un presidente da sempre attentissimo alle forme istituzionali. Di sicuro il parlare troppo schietto e sbrigativo di Renzi non ha aiutato nel dialogo, pur essendosi Napolitano adattato a una tolleranza bonaria, da «nonno paziente a nipote birbante».

Infine, la partita delle elezioni anticipate, per le quali pare che il premier abbia ultimamente esercitato diverse pressioni sul Quirinale. Napolitano ha sempre detto che non avrebbe mai più sciolto le Camere in una situazione così delicata.

Di fronte all'insistenza, a una possibilità somigliante più alla richiesta di proiettile per una pistola scarica che a uno scenario ragionevole e studiato per il futuro del Paese, il Re sdegnosamente decide di sgombrare il campo, di non essere d'ostacolo. Ma neppure complice.

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