Napolitano nervoso: "Lascio quando dico io". E il premier teme Draghi

Il capo dello Stato è costretto a smentire le dimissioni entro dicembre: me ne vado dopo il semestre europeo

Napolitano nervoso: "Lascio quando dico io". E il premier teme Draghi

Matteo Renzi è un «cavallino di razza», dicono i suoi estimatori, a cominciare dal sempre più appassionato (e interessato) Carlo De Benedetti. Sicuramente rampante, sicuramente abile nel costruire giorno dopo giorno l'architettura politica di sostegno al proprio potere. La vitalità mostrata negli ultimi giorni ne tradisce però una certa emotività - persino qualche ingenuità. Con la crescente preoccupazione che la corsa per la successione a Napolitano non si svolga secondo i propri progetti e, come esperienza insegna, entri al primo posto dell'agenda politica mandando in naftalina le riforme ( in primis l'Italicum) cui Renzi ha legato la propria sopravvivenza.

Ieri una nota del Quirinale ha voluto sottolineare che le dimissioni non ci saranno di sicuro prima della fine del semestre italiano della Ue, «solo al termine il presidente compirà le sue valutazioni». Decisioni, dice la nota, da prendere in autonomia e, «per loro natura da tenere completamente separate dall'attività di governo e dall'esercizio della funzione legislativa». Così, se nel frattempo il premier sta svolgendo una lenta ma costante apertura al mondo dei Cinquestelle in disfacimento, sponda essenziale per avere i numeri in Parlamento e ridurre il peso del centrodestra, la precisazione del Quirinale suona anche come un freno a dare tutto per scontato così da poter rallentare il cammino delle riforme. Un «aiutino» in piena regola, che testimonia le difficoltà renziane. D'altronde negli ultimi giorni il nervosismo del premier sembrava alimentarsi di ulteriori tensioni: tra queste, la sensazione che il Corsera abbia cominciato a puntare sul candidato che potrebbe maggiormente fargli ombra: Mario Draghi. Sensazione forse non sufficientemente suffragata dalle reali possibilità che il presidente della Bce abbandoni un ruolo così cruciale. Lo farebbe, questo il nocciolo dei timori di Renzi, solo se la situazione economica rappresentasse per Bruxelles un problema irrisolvibile. Si tratterebbe di una specie di «commissario straordinario» che rassicuri i mercati, un intervento della Troika sotto mentite spoglie. Per il premier, una sconfessione e delegittimazione su tutta la linea. La constatazione di un fallimento.

Per questo, se finora lo schema di Palazzo Chigi per il Quirinale aveva una sola stella polare - una personalità debole, addirittura in prestito da altre eccellenze extra-politiche (vedi il nome del maestro Riccardo Muti) - d'ora in avanti si va concretizzando lo schema di un economista «amico» con due nomi possibili: il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e Lorenzo Bini Smaghi, presidente Snam già nel board della Bce, che fu costretto a lasciare quando vi si insediò Draghi (di qui una relazione non felice tra i due). Su un piano decisamente inferiore, l'amministrativista Sabino Cassese, negli ultimi tempi super-attivo.

Ma uno schema del genere potrebbe comunque non incontrare in Parlamento il favore necessario all'elezione, persino all'interno del Pd. Soluzione alternativa sarebbe rappresentata dalla ricerca di una personalità politica «fidata». Se alla carica aspira fortemente la vicepresidente del Senato, Linda Lanzillotta, già rutelliana e moglie di Franco Bassanini, presidente della Cdp, parte dell' entourage renziano sta premendo per l'antico «maestro».

Quel Francesco Rutelli andato in sonno dopo le spiacevoli vicende della Margherita e del suo (ex) fidato tesoriere Lusi, eppure tornato dietro le quinte grazie agli amici di una vita promossi alla corte di Renzi: Gentiloni, Realacci, Anzaldi e lo stesso portavoce renziano Sensi. Sarebbe Franciasco il nome da lanciare sul Colle, il classico coniglio dal cilindro da tirar fuori prima che nella corsa per il Quirinale s'azzoppi proprio lui, Matteo, il «cavallino storno».

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