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Navalny sfida Putin: "Non ho paura. Ma c'è lui dietro il mio avvelenamento"

Il leader dell'opposizione promette di tornare in Russia: "Se non lo facessi, il presidente avrebbe raggiunto il suo scopo"

Navalny sfida Putin: "Non ho paura. Ma c'è lui dietro il mio avvelenamento"

Alla fine l'accusa diretta a Vladimir Putin è arrivata. Nella sua prima intervista dopo l'avvelenamento subito in Russia lo scorso 20 agosto, rilasciata al settimanale tedesco Der Spiegel, Aleksei Navalny punta il dito direttamente contro il leader del suo Paese. «Affermo che c'è Putin dietro il tentativo di uccidermi ha detto il capo dell'opposizione russa e lo dico basandomi su dati di fatto. La sostanza con cui mi hanno avvelenato è un tipo nuovo di Novichok, più raffinato di quelli usati in passato ad esempio contro Sergej Skripal in Inghilterra, e solo una cerchia ristretta di persone può avervi accesso. L'ordine di produrlo o di usarlo, in particolare, può venire solo da due persone: il capo dell'Fsb (i servizi segreti russi eredi del Kgb, n.d.a.), o quello dell'Svr, il servizio segreto per l'estero. O forse anche dal capo dell'agenzia d'intelligence militare, il Gru». Tutti personaggi di altissimo livello, che rispondono direttamente a Putin.

Nelle scorse settimane, il presidente russo era arrivato a sostenere che Navalny potesse aver prodotto autonomamente e assunto volontariamente il veleno che lo ha portato a un passo dalla morte. «È una evidente assurdità ha ripetuto allo Spiegel l'uomo politico -. E poi, chiunque conosca un po' la Russia sa perfettamente che nemmeno volendo avrei potuto disporre del Novichok». E perché, gli è stato chiesto, se Putin la voleva morto ha permesso il suo espatrio per curarsi? «Hanno cercato di impedirmi di uscirne vivo, contavano che io morissi entro 48 ore in Russia. Mi hanno salvato mia moglie e i miei sostenitori, chiedendo sostegno internazionale. A quel punto afferma Navalny a Mosca hanno capito che rischiavo di diventare un martire, vivo o morto, e questa è la cosa che Putin vuol evitare più di ogni altra. Per questo mi hanno lasciato andare in Germania, a cui sono enormemente grato».

Nessun oppositore di Putin in patria era mai stato aggredito con un'arma chimica, metodo riservato a quelli che Putin chiama «traditori», rifugiati all'estero. Navalny collega il suo cambio di status da «nemico» a «traditore» agli eventi che sono in corso in Bielorussia. «Putin sa tutto di me. Mi fa seguire ovunque e sa benissimo che sono un politico e non un agente segreto. Ma sono accaduti fatti nuovi: le proteste contro Lukashenko in Bielorussia, le manifestazioni contro il partito del Cremlino nella regione russa di Khabarovsk. E poi il fatto che la nostra organizzazione politica, perseguitata in ogni modo, resiste in tutta la Russia. Forse qualcuno ha pensato che i metodi usati contro di me non fossero sufficienti: lo scenario bielorusso li terrorizza».

Nell'intervista, Navalny ribadisce di essere contrario all'ideologia putiniana che vuole la Russia depositaria di speciali valori morali, destinata a seguire un percorso proprio. Il suo modello politico è quello europeo, ed è per questo che mira a demolire il monopolio putiniano del potere in Russia. Quanto al suo rientro in patria, Navalny sostiene di non aver paura e promette: «Non farò a Putin il regalo di non tornare. Vorrebbe dire che ha raggiunto il suo obiettivo». Ieri il presidente ha reagito alle dichiarazioni di Navalny rivolgendo contro di lui una classica accusa degli anti occidentali di tutto il mondo: «Lavora per la Cia».

Un traditore, appunto.

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