Quirinale 2015

Ncd esplode sul sì all'ex dc. Tira aria di crisi di governo

Sacconi lascia, la De Girolamo vuol dimettersi da capogruppo: si profila il ritorno in Forza Italia. Via pure la Saltamartini. E Alfano ride: "Gli italiani possono gioire"

Ncd esplode sul sì all'ex dc. Tira aria di crisi di governo

Ncd. Non Ci Dimettiamo. Ma anche Non C'è Dignità. Il partito dei diversamente berlusconiani esce polverizzato dal Mattarella Day, e lo fa con il sorriso sulle labbra. Quello indossato da Angelino Alfano nel momento in cui Sergio Mattarella scavalla quota 505 diventando il nuovo capo dello Stato. Cornuto e contento, l'ex delfino di Berlusconi, che ne fa anche una questione di orgoglio regionale. «Ho appena sentito il presidente #Mattarella . Congratulazioni e buon lavoro. Gli italiani possono gioire», il tweet a caldo dell'uomo senza quid . E senza Quid-rinale.

Ma di gioire gli alfaniani non hanno alcuna voglia. La difesa a oltranza dell'unica ragione sociale, quegli strapuntini di governo che sono un fatturato enorme per un partito che, nei sondaggi, è tra le cosiddette «liste-virgola», quelle cioè per cui anche i decimali sono importanti (e questo malgrado l'annessione di ciò che resta dell'Udc nella ditta Area Popolare), ratifica la cessione di ogni diritto sulla propria linea politica. Basta una sfuriata di Re Matteo e via allinearsi.

Così l'Ncd vive il giorno dell'irrilevanza. Tutti in fila a votare per Mattarella con il sorriso sulle labbra senza nemmeno la soddisfazione di potersi dire, a conti fatti, decisivi: il nuovo capo dello Stato allinea sul suo pallottoliere 665 voti, 160 in più del quorum. Anche se gli Areapopolaristi avessero votato per qualcun altro, oppure per nessuno oppure fossero andati a sciare non sarebbe cambiato nulla. E fa sorridere l'analisi del senatore Renato Schifani: «Il voto di Area popolare consente di spostare il baricentro della maggioranza, permettendo l'elezione di un presidente nel quale possono rivedersi e riconoscersi anche i moderati italiani».

Qui non ci crede nessuno. È il sabato dei processi, delle dimissioni, delle crepe. Forse degli addii. Sembra pronto a tornare a Forza Italia Maurizio Sacconi, che si dimette da capogruppo a Palazzo Madama dopo un lungo colloquio con Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello. Da lui solo un tweet in cui non fa autocritica ma se la prende con Renzi: «No pregiudizi su Mattarella. Ma il cinismo di ridare peso alle sinistre dentro e fuori il Pd uccide riforme lavoro, giustizia, fisco. Fine di ogni speranza». Anche la capogruppo alla Camera Nunzia De Girolamo medita le dimissioni senza poi darle (almeno per ora) e pensa di tornare dal Cavaliere.

E poi c'è il caso della deputata romana Barbara Saltamartini, che annuncia di buon mattino l'intenzione di disallinearsi dall'indicazione di voto, senza partecipare al plebiscito. «Il mio dissenso - spiega - non è assolutamente sul nome di Sergio Mattarella, quanto perché ritengo del tutto errato il metodo con cui si è arrivati a questa scelta». Saltamartini si dimette da portavoce del partito con un'analisi spietata: «Non posso non constatare come da oggi cambia anche la maggioranza che sostiene Renzi, che si sposta più a sinistra con il sostegno di Sel. Ncd era nata con l'obiettivo di realizzare un polo di aggregazione per il centrodestra, non possiamo rinunciare a quel progetto. Serve responsabilità verso i nostri elettori senza far conti con la calcolatrice, ma mettendo al primo posto i valori in cui crediamo». Anche la Saltamartini sembra con le valigie pronte ma il suo biglietto ha come destinazione la Lega, di cui potrebbe diventare l'ambasciatrice romana. Lei glissa: «Deciderò dopo l'incontro con Alfano di lunedì».

Non c'è molto da salvare del sabato del disastro. Quel che resta è quel pugno di seggi che al Senato fanno ancora la differenza per la maggioranza. Se vinceranno i morbidoni a oltranza non accadrà nulla e gli alfaniani resteranno a cuccia. Se prevarranno i pasdaràn potrebbe anche aprirsi una crisi di governo, con due scenari: un rimpasto con la maggioranza che a quel punto sì virerebbe a sinistra. Oppure il voto: e allora addio alla settantina di parlamentari attuale. Non so voi, noi scommetteremmo sulla prima ipotesi.

E l'ex Udc? Anche qui c'è stanchezza e sfiducia. Gabriele Albertini, Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi votano il documento di resa a Renzi ma chiedono a gran voce di fare il tagliando alla sbilanciatissima alleanza di governo. «I rapporti con questo esecutivo non vanno bene, lo dimostra non soltanto il caso Mattarella ma anche cosa è successo nella cosiddetta norma salva-Berlusconi, sui decreti per le banche popolari e sul Jobs Act». Una collana di fallimenti, di decisioni unilaterali da parte di Renzi.

Altro che baricentro.

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