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Nel corteo Cgil striscioni filorussi e cori antifascisti. Ma Landini apre al governo Meloni

Il segretario del sindacato si propone come il vero interlocutore sul lavoro. "Chi ha vinto le elezioni ha il diritto di governare". E in piazza arriva Conte

Nel corteo Cgil striscioni filorussi e cori antifascisti. Ma Landini apre al governo Meloni

E così dalla - non pienissima - piazza Cgil, convocata per celebrare l'anniversario dell'attacco fascista alla sede del sindacato, arriva - strano ma vero - la più grande apertura di credito al futuro governo Meloni.

Tra striscioni pro-Putin e slogan d'antan («Yankee Go Home»), ammiccamenti «pacifisti» filo-russi («Siamo pronti a scendere in piazza per il cessate il fuoco», strilla Maurizio Landini) e proclami antifascisti di maniera («Non ci fermereteeee!»), ecco l'offerta di pace al centrodestra.

Perché, dice Landini, «il momento è difficile, non abbiamo mai vissuto una situazione così», e quindi «bisogna trovare insieme le soluzioni e unire il paese». Quindi «non siamo qui contro qualcuno», e tanto meno contro chi «ha vinto democraticamente le elezioni» e ora ha «il diritto di governare». Noi, assicura il capo Cgil, «non abbiamo alcuna pregiudiziale» contro Meloni: «La giudicheremo da quel che farà». A patto che elegga il sindacato a proprio interlocutore diretto, senza mediazioni politiche. Il ragionamento landiniano è lineare, quanto vagamente eversivo: i partiti non contano più nulla, perché l'astensione è al 40%, poi ci sono pure «le schede bianche e nulle» e quindi - fa di conto - ci sono 18milioni di elettori che non votano. Ergo, il vero rappresentante del «mondo del lavoro» (ossia praticamente di tutti) è lui. Nessuno lo ha eletto, gli iscritti al suo sindacato sono sempre meno e per lo più in pensione, ma poco male: la rappresentanza se la prende lo stesso. E infatti avverte Giorgia: «Non pensi di usare il metodo dell'ultimo governo, che ci chiamava a Palazzo Chigi per comunicarci quello che aveva deciso con i partiti», ossia con i gruppi parlamentari di maggioranza, che secondo Costituzione avrebbero la rappresentanza degli elettori. Non per Landini: «Se Meloni pensa di fare come Draghi non ci chiami proprio, non facciamo i servi sciocchi di nessuno».

A dare l'interpretazione autentica della linea di Landini è, curiosamente, il ministro del Lavoro del governo uscente, e attaccato dal capo sindacale: «La Cgil vuole solo proseguire il metodo di tutte le democrazie europee: il dialogo sociale», assicura Andrea Orlando, accorso in piazza a applaudire Landini. Peccato che il Pd sia totalmente sparito dai radar Cgil: gli iscritti votano in maggioranza a destra, i quadri votano M5s (e infatti Conte, con cui Landini mantiene un filo diretto, era tutto giulivo sotto il palco a farsi selfie), i dem sono stati ufficialmente mollati già prima della campagna elettorale: «Non ci schieriamo», spiegò Landini. E ieri ha rincarato: «Tanto i governi di destra e di sinistra hanno fatto le stesse cose, con tanti saluti a Letta ma anche a Orlando e Provenzano. Se invece Meloni farà un patto con lui su pensioni, lavoro dipendente e politiche fiscali, avrà noi al suo fianco».

E naturalmente il futuro governo ha tutto l'interesse a provarci: per la premier in pectore siglare una sorta di «patto sociale» con il sindacato, dalla legge di bilancio alla Legge Fornero alla questione energia, sarebbe un successo strepitoso. «E poi chi potrebbe più accusarla di essere di destra?», sorride un dirigente sindacale. E infatti Meloni fa subito rettificare il tweet un po' acido, a suo nome, contro chi «scende in piazza contro un governo che ancora non c'è». Troppo avventato: «Non era assolutamente diretto alla Cgil», assicura.

La danza di corteggiamento tra Cgil-Fdi è insomma iniziata.

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