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Nel film-scandalo di Sorrentino Silvio ne esce meglio di "Loro"

La prima parte della pellicola del premio Oscar è una parodia del Potere. E dividerà l'Italia come ha sempre fatto Berlusconi

Nel film-scandalo di Sorrentino Silvio ne esce meglio di "Loro"

Che folla eccitata di cronisti ieri a Milano, la sua capitale biografica e affaristica, e Roma, la sua capitale politica e diplomatica, tutti in anticipo di almeno mezz'ora per vedere Loro, cioè Lui. E pure all'ora di pranzo, che manco a Cannes, dove peraltro l'attesissimo film di Paolo Sorrentino (allo stato attuale) non passerà...

Da noi è passato ieri, in proiezioni riservate alla stampa, e da oggi nei cinema: ecco a voi, Loro. Parte prima. Opera scritta (con il sodale Umberto Contarello) e girata da Paolo Sorrentino, un film di cui si parla dal settembre 2016, così lungo - tra annunci, polemiche, attacchi presunti, difese preventive, pagine del Fatto e di Repubblica - da essere diviso in due parti. La seconda uscirà il 10 maggio, e entrerà nel vivo degli affari e dei festini di Silvio Berlusconi. La prima - una sorta di antipasto piccante alle leggendarie cene eleganti - eccola qui: 104 implacabili minuti di un racconto (a volte realistico, altre surreale, qualche volta inutilmente sopra le righe) sul Potere, prima di tutto. Poi su Berlusconi. E prima di tutto sull'uomo Berlusconi. Poi sul Berlusconi politico. «Chi sono loro?», chiede a un certo punto una delle tante bellissime e scosciate ragazze che circondano Riccardo Scamarcio, alias Sergio Morra, alias Gianpaolo Tarantini, l'imprenditore barese finito a processo per le inchieste sulle escort nelle residenze del Cavaliere. «Loro sono quelli che contano, quelli che hanno il potere», è la risposta. Ecco: Loro non è un film su quelli che hanno il potere. Quelli, sia Sorrentino sia il pubblico, li conoscono già: sono uguali a tutte le latitudini dell'emiciclo parlamentare. Loro (che sono molto peggio di Lui) è un film prima di tutto su quelli che vogliono il Potere, lo bramano, lo cercano a tutti i costi. A costo di vendere la moglie a un potente, a costo di comprare ville e chili di cocaina, a costo di pagare donne e tangenti. E questa è la prima parte del film, molto divertente (forse stucchevolmente insistita la scena nella piscina di Scamarcio-Tarantini, fra pasticche, voli onirici e ragazze nude, un po' da Wolf of Wall Street de noantri). Con personaggi perfetti che lo spettatore si divertirà a identificare nella realtà (Scamarcio in completo blu e strisce bianche, un Fabrizio Bentivoglio straordinario nella parte di un ex ministro poeta e giuda traditore..., Kasia Smutniak in quella della regina dell'alveare...). Metafore squisitamente sorrentiniane (il misterioso «uomo che sa le cose», l'enigmatico personaggio che chiamano «Dio», il camion della nettezza urbana che salta su una buca ed esplode ricoprendo di immondizia chi nella monnezza sguazza come una pantegana). E battute che resteranno nella cronaca politica («L'apparenza inganna solo i mediocri» sentenzia Lui a un certo punto), fra le quali la migliore è muta. Quando Scarmarcio-Tarantini si eccita sessualmente vedendo sul diplay del telefonino della bellissima Smutniak-Began la scritta «Lui»... È la giostra (che non resterà solo una metafora) sulla quale sale e scende quella composita costellazione di personaggi che - come ha detto Sorrentino - «ambisce a tratteggiare, per squarci o intuizioni, un momento storico definitivamente chiuso che potrebbe definirsi amorale, decadente, ma straordinariamente vitale». Quel che resta del berlusconismo?

Resta il fatto che gli antiberlusconiani con la bava alla bocca resteranno delusi, almeno oggi (si rifaranno con la seconda parte...). Perché Lui, ancora una volta, quando entra in scena, se la prende. Tutta. Come nella realtà, da venticinque anni a questa parte (ma a proposito, Loro è finzione o è realtà? «Tutto documentato, tutto arbitrario» recita l'esergo del film, di Giorgio Manganelli).

Ed eccolo Toni Servillo-Silvio Berlusconi, che entra in scena in costume da danzatore berbero per sorprendere ancora una volta Veronica Lario, tendenza Sofia Ricci (voto: 9), che legge «libri difficili» (Adelphi, naturalmente), e intrattiene il nipotino con uno spettacolo di burattini «così triste che sembra un programma di Rai3». È l'ultima mezz'ora, quella che tutti aspettavano. E che lascerà molti delusi (per ora). Siamo in qualche anno fra il 2006 e il 2010, Berlusconi è al momento fuori dai giochi («Ma Le pare giusto che io sia all'opposizione?», dice a un frastornato fuoriclasse del calcio che osa rifiutare l'offerta di giocare nel Milan), costretto - Lui, «l'uomo del fare» - a passare l'estate nella villa in Sardegna, per riconquistare una ormai assente Veronica. Nel finale - tanto spiazzante da strappare l'applauso ai giornalisti in sala - la giostra dei sentimenti si ferma sulla casella che nessuno avrebbe detto...

Cosa dire? Che il film, come ha sempre fatto Berlusconi, dividerà gli italiani che lo andranno a vedere. Per una parte di loro, Lui è proprio così: insopportabile, cinico, amorale. Per un'altra parte, è esattamente così: irresistibile, generoso, vitale. «Nonno, perché dodici dei miei compagni dicono che devi andare in galera?», gli chiede il nipotino sul patio di Villa Certosa. «Quanti siete in classe?». «Trenta», risponde il piccolo.

«Proporzioni rispettate», risponde Lui.

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