Nel gioco dei veti e dei rinvii sale il governo del presidente

Stallo fino al voto in Friuli e Molise. E mentre il vertice Di Maio-Salvini si allontana, c’è l’ipotesi istituzionale

Nel gioco dei veti e dei rinvii sale il governo del presidente

T rovare la famosa «quadra», al momento, resta una speranza impossibile. Sono fermi i dialoghi tra i leader. Non ci sono le condizioni per un tavolo né tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini né tra il capo politico del Movimento Cinquestelle e Maurizio Martina. Dall’entourage di Di Maio escludono al momento un incontro con il leader del Carroccio e il leader leghista si limita a un freddo: «Se chiama rispondo, è educazione».

Insomma stallo totale. Nei corridoi di Montecitorio ci si chiede come occupare questo tempo di non governo e si scommette che la stasi continuerà almeno fino alle elezioni friulane fissate per domenica 29 aprile. Inoltre si fa notare che con Salvini e Di Maio impegnati in una sfida diretta nei due territori (il numero uno del Carroccio lunedì ha battuto tutto il Friuli in un vero e proprio tour de force, il pentastellato ieri era in Molise) intavolare una trattativa è quantomai complicato. Dal Quirinale filtra l’intenzione di mantenere una linea prudente e rispettosa del verdetto elettorale. Inevitabili le voci su un possibile «governo del presidente». Ma questa creatura politica potrà decollare soltanto se i vincitori - quindi il centrodestra e il Movimento Cinquestelle - alzeranno bandiera bianca e saranno loro a richiederla.

Nessuna forzatura quindi, anzi Sergio Mattarella proverà prima a sviscerare tutte le possibilità in campo e far maturare una soluzione «politica». Di Maio continua a respingere l’ipotesi di una figura «terza»: «Massimo rispetto per Cottarelli, Severino, Cantone ma non si sono candidati. Poi mi sento dire che io che ho preso 11 milioni di voti devo fare un passo indietro. Aspetterò le risposte del Pd e della Lega, ma il tempo dei governi tecnici e dei giochi di palazzo è finito». In realtà se l’impasse dovesse diventare conclamata, l’ipotesi che continua a circolare è quella di un governo «tutti fuori» (ovvero appoggiato da tutti) per fare poche cose e poi tornare al voto. Lo stato di salute del dialogo, come detto, è pessimo. Dentro la Lega si lamenta la difficoltà di individuare interlocutori. «Nessuno sembra assumersi responsabilità e Di Maio è costretto a fare sia il poliziotto buono che il poliziotto cattivo» spiegano. «Siamo pronti a parlare con Di Maio, ma in questa fase sembra molto solo. E poi è davvero lui il capo politico? Può prendere decisioni in autonomia?».

Dubbi e perplessità che fanno il paio con una certa insofferenza che inizia a circolare nella base parlamentare rispetto all’atteggiamento pentastellato. Nella rosa dei nomi ricorrenti continua a comparire Giovanni Maria Flick. Il giurista non si tira indietro. «Sarei un buon premier, come tanti altri. Purtroppo ho la sensazione che il senso di queste consultazioni sia rovesciato: si va al Quirinale non per offrire le proprie proposte, ma per sapere cosa pensa il presidente della Repubblica e così regolare la mossa successiva».

Ma c’è anche chi come il vicepresidente del Senato, Ignazio la Russa, ospite di Sportitalia, azzarda due nomi diversi: quello di Urbano Cairo e quello di Flavio Cattaneo, «persone che hanno dimostrato di saper sbrogliare situazioni complicate». Fermo restando che «noi siamo per un governo di centrodestra e riteniamo che spetti a Salvini provarci».

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