Nel Pd inizia la guerriglia per impedire a Renzi di gestire le candidature

Verso il voto 2018, i capicorrente logorano il leader con l'aiuto dei redivivi Prodi e Pisapia

Nel Pd inizia la guerriglia per impedire a Renzi di gestire le candidature

C'è un grande non-detto, dietro le furiose polemiche politiciste in casa Pd.

Il grande non-detto si chiama «liste elettorali»: unica, vera motivazione dietro l'insurrezione di tanti big, da Orlando a Franceschini, giù giù fino ai pochi prodiani superstiti e a Bersani, che dal Pd se ne è andato (e solo lo ha lasciato, scriverebbe Togliatti). Matteo Renzi (che tace e prepara la due giorni di assemblea dei circoli Pd, che si apre oggi a Milano) è uscito dalle primarie come dominus assoluto negli organismi dirigenti del partito. La sua maggioranza è autosufficiente persino da Franceschini, abituato da tempo ad essere l'azionista di maggioranza dei Dem. E questo vuol dire che, sic stantibus rebus, quando si arriverà al momento di scegliere le candidature per le prossime politiche, Renzi avrà mano libera nel deciderle e farle approvare. Ed è chiaro a tutti, nel Pd, che il leader - a parte piccole riserve indiane - stavolta vorrà comporre dei gruppi parlamentari leali. Problema non da poco per tutti coloro che hanno da temere da questo scenario, a cominciare proprio da Franceschini che - con Bersani segretario - riuscì a piazzare decine e decine di eletti.

Nessuno lo dice apertamente, com'è ovvio, ma la ragione principale per cui in tanti vogliono logorare e possibilmente scalzare - prima delle prossime elezioni politiche - la leadership renziana è proprio questa. Del resto, tanto più in un regime proporzionale come quello imposto da No al referendum e dalle sentenze della Consulta, chi riesce ad avere il controllo di un gruppo parlamentare sufficientemente nutrito avrà più filo da tessere nei futuri equilibri politici.

E del resto Andrea Orlando e Gianni Cuperlo lo hanno detto fuori dai denti: l'obiettivo di chi sostiene la necessità di una nuova Unione, ovvero di più o meno raffazzonate coalizioni di centrosinistra, è quello di ridiscutere la leadership: «Renzi non vuole la coalizione perché non sarebbe lui il candidato premier», dice il ministro della Giustizia. E chi dovrebbe farlo, al suo posto? Molti, a sinistra, rispondono: «Pisapia, per esempio». L'ex sindaco di Milano, del resto, raccoglie messi di adesioni alla sua manifestazione del 1 luglio, simbolicamente convocata nella prodiana Piazza Santi Apostoli, facendo imbufalire chi, come Arturo Parisi, animò la stagione dell'Ulivo e ora pensa tutto il male possibile della accozzaglia di «reduci» che lì si vedranno: da Bersani (che ai suoi confida di essere il vero regista di Pisapia) a Antonio Bassolino, dal giurista Valerio Onida (punta di diamante dei comitati del No, mentre Pisapia era schierato per il Sì) a Leoluca Orlando a Massimo D'Alema (cui però è stato chiesto di non parlare). Più i frondisti interni al Pd: Andrea Orlando, ma anche l'«inviato» di Franceschini, David Sassoli.

Ma Pisapia, nelle menti degli strateghi anti-Renzi, è solo un utile disturbatore, da mettergli contro per far risaltare l'isolamento Pd. Qualcuno pensa a Enrico Letta. Ma un colpo alla candidatura dell'ex premier è arrivato nientemeno che da Romano Prodi, che ha negato di averlo sponsorizzato «nei colloqui di queste settimane», o di interessarsi «ai destini di questa o quella personalità». Forse con una eccezione: il suo. Il nuovo protagonismo politico di Berlusconi ha agito come un tonico sull'ex premier dell'Unione, che deve essersi detto: «Se torna lui, perché io no?». A chi fa notare l'età di Prodi, i suoi fedelissimi replicano: «È più giovane di Francesco, e quello fa il Papa».

Così il Prof impazza, ieri era al congresso Cisl a prendersi ovazioni e parlare di necessità di «rinascita politica contro le disuguaglianze». Ritagliandosi - non a caso - un profilo un po' alla Corbyn o alla Sanders (anche loro, del resto, attempati), sia pur corretto da una dose di europeismo alla Macron. Cocktail perfetto per tornare protagonista.

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