Nella Lega in allarme Salvini è sotto accusa: "Così perdiamo voti"

Da Maroni a Grimoldi i dubbi sulla linea lepenista. "Torniamo alle vecchie battaglie"

Nella Lega in allarme Salvini è sotto accusa: "Così perdiamo voti"

L'umore in via Bellerio lo riassume il segretario della Lega Lombarda, Paolo Grimoldi: «Non è andata come pensavamo. In tutto il Nord, salvo alcune eccezioni, la Lega ha perso voti, anche laddove abbiamo vinto il sindaco. Questo denota un allontanamento di una parte del nostro elettorato storico. Percentuali alla mano, non posso esimermi dall'ammettere una sconfitta» scrive il deputato del Carroccio. Non è solo una questione di numeri, visto che in fin dei conti il saldo tra Comuni persi e conquistati dalla Lega è positivo (18 nuovi sindaci). Tuttavia il bilancio politico della tornata comunale per Salvini non è quello sperato: l'affermazione del Carroccio come forza trainante del centrodestra e alternativa di governo è rimandata alla prossima occasione. Le partite più importanti per misurare le forze erano tre: Milano, Roma e Bologna. Nel capoluogo lombardo la Lega ha preso la metà dei voti di Forza Italia, Salvini si è fermato a 8mila preferenze (come Majorino del Pd, 4mila voti meno della Gelmini), e la città è andata al Pd. A Roma il modulo lepenista Salvini-Meloni non ha portato neppure al ballottaggio, e «Noi con Salvini» ha confermato le difficoltà del Carroccio a radicarsi al centro-sud, con un modesto 2,7% nella Capitale (più a sud è ancora peggio). A Bologna, infine, non è riuscito l'exploit con la corsa della leghista Borgonzoni: buon piazzamento, ma nessuno tsunami verde. Anzi, un calo di consensi: alle regionali 2014 la Lega aveva preso il 15,2% nella circoscrizione di Bologna, stavolta il 10,22%. Il magro bottino del Carroccio a Torino, col 5,8%, è un altro segnale di difficoltà a capitalizzare il voto anti Renzi, che va invece in massa al M5s. Il peso specifico di altre piazze piemontesi, come Novara (ma anche «Trecate, Domodossola, Narzole e Carmagnola!» esulta il segretario della Lega Piemonte, Riccardo Molinari) conquistate dalla Lega non compensano i problemi incontrati altrove. E poi ci sono le sconfitte altamente simboliche, come Varese, culla del leghismo, persa dopo vent'anni di dominio incontrastato («Una sconfitta che brucia eccome» mastica amaro Salvini), con un big come il governatore Bobo Maroni capolista («È una botta» commenta lui). In Veneto la Lega vince sull'onda di Zaia, in Friuli-Venezia Giulia (Trieste e Pordenone) si affermano candidati di coalizione, in Emilia Romagna si vince a Pavullo e Finale Emilia ma si perde a Cento e non si sfonda a Ravenna.

Meglio stare alla larga dalle grandi città del nord e prendere la strada per Cascina, sulle rive dell'Arno poco fuori Pisa, dove la Lega ha piazzato un suo sindaco (la giovane Susanna Ceccardi) espugnando il potere piddino, come insolita location per la conferenza stampa del day after leghista. Tira aria di riflessioni, ripensamenti sulla linea finora solo borbottati perché le cose andavano benone. «Non ci si ferma, perché quando si cade ci si rialza, ovviamente domandandosi perché si è caduti» dice Salvini, che annuncia una «Leopolda» leghista a Parma per sabato 25, con intellettuali, economisti, giuristi. Mentre prende corpo, tra i dirigenti, la nostalgia per la Lega autonomista, quella bossiana.

È ancora Grimoldi a dare voce a quest'anima del partito: «Credo si debba tornare a essere un movimento-sindacato dei nostri territori e affrontare le questioni irrisolte del Nord, a cominciare dalla battaglia autonomista». Si dichiara in pieno accordo con questa analisi Roberto Maroni, che però risponde di no: «Se si discute la leadership? No, il leader si chiama Salvini».

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