«Non capisce niente di politica. Si è messo con i fascisti, con la Le Pen. Mai con i fascisti, mai!». Alle cene di partito Umberto Bossi non perde occasione per accusare Salvini di aver mandato in malora gli ideali della Lega, di essersi in messo in testa di essere lui il capo del centrodestra, «un coglionazzo...». Ma se Bossi è ormai isolato nel Carroccio, altri pezzi della Lega non vedono l'ora che Salvini inciampi per metterne in discussione la leadership. Impossibile finché le percentuali della Lega salviniana raddoppiano, se non triplicano, quelle precedenti.
Tra i non allineati della vecchia guardia c'è Roberto Maroni, uno dei pochi che può permettersi di contestare le scelte del segretario federale, come la rottura su Bertolaso. «A Roma Forza Italia è il partito maggiore del centrodestra, bisognava lasciare a Berlusconi la scelta del candidato, le battaglie non si vincono facendo la guerra agli alleati» dice Maroni, convinto che ora il centrodestra può scordarsi il ballottaggio. Risposta del leader: Maroni non si immischi, pensi a fare il governatore, «a ognuno il suo mestiere». Il presidente lombardo e così i suoi in Regione - non sopporta la linea politica di Salvini, scelto peraltro da lui come suo successore alla guida del partito. Il rapporto tra i due è conflittuale (uno scontro pesante c'è stato sulle nomine nella sanità lombarda) anche se nelle dichiarazioni fanno il tifo l'uno per l'altro. Per Maroni, che governa con una maggioranza che comprende anche Ncd, gli strappi di Salvini (cui si aggiunge Torino, dove la Lega ha poco da perdere e non appoggerà il candidato Fi Osvaldo Napoli mentre rumors rilanciati da Avvenire parlano di una alleanza con Fitto a Roma) possono risultare vincenti mediaticamente, ma non portano lontano. I fedelissimi del segretario federale invece sospettano che il governatore giochi una partita tutta sua per la riconferma in Lombardia o addirittura l'investitura a candidato premier con l'appoggio di Berlusconi e delle forze del centrodestra con cui invece Salvini litiga.
Difficile trovare altri nel Carroccio disposti a uscire allo scoperto, vige il terrore di essere fatti fuori (alcuni leghisti, una volta frequenti ospiti di talk show, raccontano di un veto posto sulle loro presenze tv, non gradite dalla segreteria federale). «Per il partito va bene staccare il cordone ombelicale con Berlusconi, ma non in questo modo, non facendoci male alle Amministrative» spiega sottovoce un importante parlamentare. «L'operazione a Roma è esclusivamente strumentale dice un altro leghista non allineato - l'obiettivo di Salvini è segare Berlusconi per avere campo libero alle elezioni politiche. Al militante la cosa può anche eccitare ma chi fa politica nella Lega sa che per vincere c'è bisogno di tutti».A lavorare per evitare una rottura su Roma, fin quando è stato possibile, è stato l'eterno mediatore e pontiere Giancarlo Giorgetti, consigliere di Salvini che ha suggerito una via unitaria per il Campidoglio. Ma poi quando la situazione si è incartata, è stato proprio Giorgetti (vecchia scuola bossiana) a ispirare lo smarcamento da Bertolaso e soprattutto da Arcore. L'altro generale, Luca Zaia, anche lui governatore (Veneto) con una coalizione di centrodestra Lega-Fi-Fdi, si tiene fuori dalla mischia. Ma «il Doge» è un contrappeso potenziale a Salvini, con tutt'altro stile di governo («democristiano»), a cui l'anima del partito guarda come alternativa futura a Salvini. Per il momento Zaia si limita ad esercitare il suo potere in Veneto, senza mettere bocca sulla linea politica della Lega nazionale. Nella sua terra, però, Zaia fa valere il proprio peso anche rispetto a Salvini, che nella segreteria della Liga Veneta puntava a far nominare il fedelissimo Lorenzo Fontana, ora a Strasburgo, mentre poi è passato Gianantonio Da Re, uomo di Zaia.
E anche su altre segreterie, come quella lombarda, il partito si mosso autonomamente rispetto ai desiderata di Salvini. E Calderoli? «Galleggia, come sempre» ti rispondono nella Lega, anche se tra l'ex colonnello e Salvini non c'è alcun feeling. Intanto Salvini annuncia di puntare al ballottaggio con la Meloni, e che in alternativa che voterà Cinque stelle. «Mi dispiace di avere un po' litigato con Silvio Berlusconi. Dovevo andare a Canale 5, domani mattina (oggi, ndr), ma adesso mi hanno detto di non andare...» dice Salvini. «A Berlusconi avevo chiesto di candidare persone nuove, pulite ma lui fa fatica a capire che èimportante».
In realtà in serata Mediaset precisa: «Nessuna preclusione per nessun leader, tanto meno Salvini. L'invito resta valido. Se vuole può venire domani (oggi, ndr) a Mattino 5 come è stato spesso gradito ospite nelle ultime settimane».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.