Nella Lega si afferma l'ala degli europeisti "Salvini cambi i toni"

Il leader: ora saremo di lotta e di governo. La battaglia per i vice a Viminale e Salute

Nella Lega si afferma l'ala degli europeisti "Salvini cambi i toni"

Nella Lega sono convinti che per Salvini adesso si apra un capitolo nuovo, in cui il leader si giocherà tutto. «È la vittoria della Lega presentabile, quella che rappresenta il mondo produttivo, il legame con l'Europa e l'asse strategico con gli Stati Uniti. Per Salvini è l'opportunità di sdoganarsi a livello internazionale e prepararsi il terreno come candidato premier nel 2023» spiega una fonte parlamentare leghista, che aggiunge: «Ma è chiaro che Salvini dovrà cambiare argomenti». La promozione governativa di Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, i due leghisti «economici» (entrambi bocconiani) lontani nei toni dal sovranismo euroscettico cavalcato in passato da Salvini, è insieme un'opportunità e una sfida per il segretario del Carroccio. Da una parte infatti può accreditarsi come partito di governo, in grado di gestire uno snodo decisivo come lo Sviluppo Economico, quindi espandersi in un elettorato più moderato e rassicurare le cancellerie europee in vista di una sua corsa a premier. Dall'altra è chiaro che sarà più facile per la Meloni, rimasta fuori dalla coalizione pro-Draghi, martellare sui temi più cari all'elettorato sovranista e presidiare quello spazio.

I leghisti assicurano che non è assolutamente in discussione la leadership di Salvini, tanto più che Giorgetti non nutre ambizioni di quel tipo. Ma è evidente che l'ala europeista-moderata del partito (che conta anche l'altro il nemoministro, Erika Stefani, di area Zaia) ha ottenuto una vittoria rispetto a quella più nazionalista-euroscettica (e putiniana), a cui vengono iscritti molti membri del «cerchio magico» di Salvini. Il «Capitano» assicura di essere contento per la nomina dei tre leghisti, ma non ha gradito molto il metodo seguito da Draghi e Mattarella di «decidere in casa altrui», cioè senza neppure consultarsi con il leader di un partito per la scelta dei ministri da assegnare a quel partito. Lo stesso Giorgetti ha ricevuto una telefonata da Draghi solo pochi minuti prima che la lista dei ministri fosse comunicata ufficialmente. Non solo, anche la scelta di tre azzurri (Brunetta, Carfagna e Gelmini) proprio tra quelli che hanno i rapporti più gelidi con la Lega appare come una mossa per isolare Salvini e la componente sovranista.

Il leader però punta a giocare su due sponde, con una riedizione della «Lega di lotta e di governo» di bossiana memoria. Ovvero, incassare i dividendi dell'azione di governo dei suoi tre ministri, in tre settori importanti come il Mise, il turismo e il mondo della disabilità. Ma sfruttare il fatto di non essere lui direttamente coinvolto nell'esecutivo per lavorare ai fianchi gli alleati-avversari di governo, Pd e M5s e poi i ministri già nel mirino della Lega come la Lamorgese e Speranza.

È proprio in quei due dicasteri che Salvini ha già aperto un nuovo fronte, quello dei posti di sottogoverno. La Lega vuole mettere i suoi uomini al Viminale e alla Salute per marcare stretti i due ministri. Per l'Interno i nomi dei vice o sottosegretari sarebbero quelli di Stefano Candiani e Nicola Molteni, mentre un'altra casella a cui si punta è un vice al Lavoro, in questo caso il nome è quello di Durigon, il «padre» di quota 100.

Un'altra richiesta di Salvini, sempre nel doppio ruolo di leader della maggioranza ma anche di oppositore, è quella di rimuovere Arcuri, il commissario ai disastri Covid.

Intanto oggi, «per festeggiare San Valentino, prima riunione operativa coi ministri Lega, per i primi interventi a favore di disabili, famiglie, lavoratori e imprese» twitta Salvini.

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