"Nelle basi Nato a Kabul Al Qaida prepara attentati. E colpirà l'Occidente"

L'ex generale dei corpi speciali afghani: "Dieci i centri di addestramento, ora reclutano in massa"

"Nelle basi Nato a Kabul Al Qaida prepara attentati. E colpirà l'Occidente"

Il generale Farid Ahmadi, 51 anni, è un guerriero. Paracadutista e comandante dei corpi speciali in Afghanistan, sei mesi prima del collasso venne gravemente ferito da una trappola esplosiva ed evacuato in Turchia. Oggi è esule in Germania da dove rivela al Giornale l'espansione di Al Qaida, anche nelle ex basi della Nato, e i piani per tornare a colpire l'Occidente.

Al Qaida si sta espandendo in Afghanistan?

«I campi sono decuplicati rispetto al 2001. I terroristi, che erano relegati soprattutto nell'Est del paese, adesso sono presenti in 22 province. Almeno dieci campi militari e basi avanzate della Nato, costruiti con i soldi occidentali, vengono utilizzati per addestramento e formazione».

Dove si trovano?

«Ero il comandante della seconda brigata dei corpi speciali afghani nell'Afghanisatn occidentale, distretto di Shindad, provincia di Herat (area dove si trovava il grosso del contingente italiano, nda). A Shindad esisteva un grande centro delle forze speciali messa in piedi con i soldi americani. Avevamo anche due basi avanzate nella valle di Zirko, a una quarantina di chilometri. Installazioni militari utilizzate oggi da Al Qaida. Un altro esempio è camp Bastion nella provincia i Helmand, la più grande base alleata in Afghanistan. Il 24 agosto i droni americani hanno bombardato tre diversi obiettivi nel campo. L'operazione non è stata resa pubblica, ma gli obiettivi erano quattro comandanti di Al Qaida: Abu Zubaid, Abu Hannas, Qari Soleiman al Farouki e Abu Hassan. Dopo 20 anni (dall'intervento Nato, nda) assistiamo al grande ritorno di Al Qaida in Afghanistan».

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Quanti sono i terroristi?

«Tre mesi dopo l'arrivo a Kabul dei talebani nell'agosto di un anno fa le stime d'intelligence indicavano che gli operativi di Al Qaida erano 700, ma stiamo parlando di comandanti di alto livello, pianificatori, esperti di operazioni e incaricati della raccolta fondi. Oltre a questo zoccolo duro ci sono i reclutati fra i ranghi dei talebani, dell'Isis e dei giovani istruiti in questi ultimi 20 anni e abbandonati dalla ritirata della Nato. Un serbatoio enorme fra gli 8 e 10 milioni di persone. Giovani disperati e senza lavoro facile obiettivo dei reclutatori. Questo è il motivo dell'espansione di Al Qaida, più forte di prima».

Stanno preparando nuovi attacchi?

«Sono sicuro che Al Qaida sta pianificando un grande attacco in Occidente per vendicare il sangue di Osama bin Laden e di Ayman Al Zawahiri (ucciso da un drone Usa il 31 luglio a Kabul, nda). E se accadrà dieci o venti anni dopo per loro non ha importanza. Quello che conta è mettere a segno un'azione clamorosa con un impatto globale. Nell'immigrazione di centinaia di migliaia di afghani negli Stati Uniti e nei paesi europei ci sono infiltrati dei talebani e di Al Qaida».

E gli americani cosa fanno?

«Nell'ultimo anno 75 attacchi con i droni, soprattutto su obiettivi legati ad Al Qaida. Non sono stati ufficialmente confermati da Washington o dai talebani. Perché? Se lo facessero dovrebbero ammettere che l'Afghanistan è un rifugio sicuro dei terroristi e la ritirata un errore».

Però non tutti i talebani sembrano d'accordo nel garantire protezione ai terroristi. Cosa ne pensa?

«La storiella dei talebani moderati è un'invenzione dell'inviato americano per gli accordi di Doha, Zalmay Khalilzad, che serviva a convincere il presidente Trump. I talebani e Al Qaida sono le due facce della stessa medaglia. Il clan Haqqani avrà maggiori rapporti per l'amicizia fra Bin Laden e Jalaluddin (padre di Sirajuddin Haqqani, ministro dell'Interno, che avrebbe garantito protezione ad al Zawahiri a Kabul nda). Al Qaida è anche uno strumento di pressione nei confronti dell'Occidente. Noi la teniamo sotto controllo dicono i talebani adottando il sistema della carota e il bastone. Ma è ingenuo attendersi che i talebani si distaccheranno da Al Qaida».

La resistenza nella valle del Panjshir è ancora debole?

«Il Fronte nazionale di resistenza sta ottenendo dei successi tattici nella provincia di Baghlan e nella valle del Panjsher. Ci sono pure dei miei uomini che facevano parte dei corpi speciali. Il problema è che la resistenza ha bisogno di un approccio politico militare coerente e relazioni migliori con gli Usa e l'Ue, oltre che appoggio logistico. Talvolta comprano le armi dai talebani, che non ricevono la paga da mesi».

Le sue unità hanno combattuto al fianco degli italiani?

«Il nono battaglione delle operazioni speciali che era sotto il mio comando aveva la base ad Herat vicino a Camp Arena (il nostro quartier generale, nda). Assieme ai corpi speciali italiani abbiamo condotto alcune operazioni di successo nella provincia di Farah, a Bala Baluk e anche a Shindad. Missioni diurne e notturne di ricognizione, ma anche ricerca ed eliminazione o cattura di obiettivi talebani di alto valore, leader che facevano parte della struttura di comando e controllo del nemico».

Un anno dopo la Caporetto della Nato cosa prova?

«In 20 anni,

grazie al sacrificio di un enorme numero di caduti afghani e occidentali, eravamo riusciti a sradicare Al Qaida, ma l'Afghanistan è stato riconsegnato ai talebani e ai terroristi. Non è solo la realtà, ma una grande vergogna».

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