Viene giù tutto. Azioni, prezzi del petrolio, rendimenti obbligazionari, in un continuo processo di distruzione che ha trovato la propria apoteosi nel lunedì nerissimo di ieri sui mercati. Non bastava la pandemia da coronavirus col suo carico da novanta: litigando prima sui tagli produttivi e minacciando poi di inondare di petrolio il mondo, Arabia Saudita e Russia hanno dato il colpo di grazia a un sistema finanziario in coma profondo. La caduta in verticale del greggio ha creato un effetto domino sulle Borse, amplificato il panic-selling e reso ancora più diffusa la sensazione di essere finiti in una trappola senza via d'uscita.
A pagare il prezzo più salato è stata, ancora una volta, Piazza Affari tracollata di un 11,17%. Altri 63,5 miliardi di euro andati in fumo, quasi 7,5 ogni ora, in una seduta in cui molti titoli hanno faticato a far prezzo per mancanza di compratori disposti ad assumersi il rischio.
Nessun provvedimento d'emergenza è stato messo in campo per limitare i danni. Borsa Italiana è rimasta ferma sulle posizioni già espresse nei giorni scorsi dal suo ad, Raffaele Jerusalmi, ricordando l'operatività di Piazza Affari, seppur in misura «drasticamente ridotta», «anche sotto i bombardamenti» tra il 1942 e il 1945. Rispedita al mittente, perché «non ci sono attacchi speculativi», la proposta di Giorgio Mulè di vietare le vendite allo scoperto in tutta l'Unione europea, dopo che il deputato di Forza Italia aveva domandato, già domenica, di sospendere le contrattazioni. «Avevamo chiesto al governo - ha sottolineato la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni - di valutare la chiusura temporanea della Borsa o quantomeno di vietare le vendite allo scoperto. Nulla è stato fatto».
Una sorta di show must go on che non ha tenuto conto dell'esempio della Cina, dove la riapertura dei mercati di Shangai e Shenzen era stata rimandata dal 31 gennaio al 3 febbraio proprio per ammortizzare la prevedibile caduta dei mercati a causa dell'epidemia. Pechino, inoltre, si è dotata dal 2016 di circuit breaker che, sull'esempio di quanto introdotto a Wall Street già a partire dal 1989, interrompono gli scambi oltre una certa soglia di perdita sino ad arrivare, come extrema ratio, allo stop delle contrattazioni.
L'identica assenza di paracadute ha lasciato l'Europa senza rete, condannandola a un crollo dello Stoxx600 superiore al 7% che ha fatto svaporare altri 611 miliardi di capitalizzazione. L'attivazione dei blocchi automatici da 15 minuti per la prima volta dal 2008, non ha però salvato Wall Street da un altro black monday (-8% a un'ora dalla chiusura), mentre l'oro è toccato il top dal 2012 volando oltre i 1.700 dollari e il rendimento dei T-bond Usa a 10 anni è collassato sotto lo 0,6%. E il Vix, il cosiddetto indice della paura, è balzato ai massimi dalla crisi finanziaria del 2008.
Di fronte a un mondo finanziario che si sgretola come un grissino, il Fondo monetario internazionale ha sollecitato i governi a fornire «una risposta internazionale coordinata». Insomma, proprio ciò che, finora, è mancato.
I mercati continuano a sperare in un intervento salvifico da parte della Federal Reserve. Oltre al continuo rifornimento di liquidità, si guarda alla possibilità che nella riunione del 18 marzo vengano tagliati per la seconda volta in un mese i tassi dopo la sforbiciata di mezzo punto del 3 marzo scorso. Ma non si escludono mosse extra-meeting.
Tra queste, perfino la possibilità che la Fed scenda in campo acquistando azioni. Continua intanto a tacere, così come l'intera Unione europea, la Bce. Giovedì prossimo, Christine Lagarde dovrà però scoprire le carte e dire finalmente da che parte sta.
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