Cronache

Nelle guerra dei narcos al governo spunta anche un esercito fantasma

Dopo il pugno di ferro promesso dal presidente Obrador i boss lo sfidano con un video di soldati armati. Forse è una messinscena

Nelle guerra dei narcos al governo spunta anche un esercito fantasma

Un video choc che in due minuti e mezzo mostra una carovana senza fine armata fino ai denti: blindati, bazooka e uomini con divise militari e giubbotti antiproiettile che inneggiano al Mencho. «Pura gente del señor Mencho» gridano tutti mentre la telecamera avanza. Il Mencho, nella vita Nemesio Oseguera Cervantes, è il leader di uno dei più feroci cartelli messicani, il Jalisco Nueva Generación (Cjng) e quello filmato sarebbe un suo gruppo d'élite.

Per comprendere il significato di queste immagini, però, bisogna guardare ai tempi che sono fondamentali in questa storia. Giovedì scorso, infatti, il presidente Andrés Manuel López Obrador, Amlo, lui che del dittatore venezuelano Nicolás Maduro è amico, giunge in visita ufficiale a Jalisco e dichiara platealmente che «non negozieremo con il crimine, continueremo a combatterlo e non ci lasceremo intimidire» per poi annunciare un importante cambio della guardia nel controllo delle frontiere portuali, affidate ora alla Marina messicana e alla Sedena, il segretariato della Difesa nazionale.

Dopo neanche 24 ore appare sulle reti sociali il video choc, a mo' di risposta ad Amlo. Sabato, però, un gruppo di analisti comincia a denunciarne su Twitter la non veridicità. O meglio, il video è vero ma sarebbe una messinscena organizzata proprio dalla Sedena, una cui base è situata a pochi metri da dove è stato girato il filmato. Tanto che persino il segretario della sicurezza di Amlo, Alfonso Durazo, deve correre ai ripari parlando di una «montatura» su cui si sta indagando e che «non c'è alcun gruppo criminale in grado di sfidare con successo lo Stato».

Peccato però che sia uscita la notizia che la Dea statunitense insieme all'unità antiriciclaggio messicana abbia, con l'operazione Blue Agave, congelato conti bancari di 1939 persone e società che hanno riciclato 1,1 miliardi di dollari proprio del Cjng. E tra questi sono coinvolti numerosi alti funzionari statali, avvocati e imprenditori.

Insomma è evidente che la politica dell'accordo con i narcos sbandierata in campagna elettorale da Amlo con lo slogan «abbracci non pallottole» appaia sempre più priva di significato e contraddetta dalla realtà.

Da un lato, infatti, Amlo che ha ammesso pubblicamente nelle settimane scorse di essere giunto ad un accordo per far cessare l'assedio del Cartello di Sinaloa alla città di Culiacán, l'ottobre scorso per arrivare poi a inizio pandemia a stringere addirittura la mano della mamma del Chapo, mostra chiaramente di essere al fianco del cartello di Sinaloa.

Dall'altro il rivale Cjng il cui capo El Mencho, infuriato, ha dato per questo il via ad una fase stragista facendo ammazzare il direttore del supercarcere di Puente Grande, nello stato di Jalisco, Marcos Alberto Corona Baltazar, il giudice antimafia dello stato di Colima, Uriel Villegas, freddato con la moglie e, lo scorso 26 giugno, avendo gravemente ferito in un'imboscata Omar García Harfuch, capo della polizia di Città del Messico, colpevole di avere inferto duri colpi ai narcos negli ultimi 20 anni (su tutti la cattura de «Il Laureato», boss poi estradato negli USA e fondamentale per la condanna all'ergastolo del Chapo).

Ma se questo video è davvero una messinscena della Sedena, è anche la conferma di come il confine tra cartelli e Stato sia labile se non inesistente, rendendo quindi totalmente ipocrita parlare di un accordo di pace tra governo e narcos sul modello, di fatto fallito, di quello colombiano con le Farc.

Soprattutto mentre fiumi di fentanyl, prodotto in Messico, continuano ad inondare gli Stati Uniti.

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