Società

"Nelle università c'è troppa burocrazia. La denatalità mette a rischio gli atenei"

La prima presidente donna della Conferenza dei rettori: "Dobbiamo innovare didattica e sistemi di valutazione. Servono studenti stranieri"

"Nelle università c'è troppa burocrazia. La denatalità mette a rischio gli atenei"

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"Nelle università c'è troppa burocrazia. La denatalità mette a rischio gli atenei"

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L'economista Giovanna Iannantuoni, 53 anni, rettrice dell'Università di Milano Bicocca, è neo-presidente della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane. E' la prima donna a ricoprire questo ruolo in 60 anni di vita dell'istituzione: una rivoluzione, che Iannantuoni intende estendere all'anno appena sbocciato.

Nel mondo universitario cosa urge ed è fattibile entro il 2024?

«Dobbiamo muoverci su tre fronti: innovazione, semplificazione e riforma della didattica. Il sistema accademico va riportato al centro del dibattito. L'università non può abdicare al dovere di essere leader culturale del Paese, è considerata distante, antica ed immobile, mentre è fatta da giovani quindi non può che essere in divenire. L'università sta diventando una cosa molto diversa, facciamo sapere che siamo aperti, innovativi e moderni. Noi siamo tutto ciò, e vogliamo esserlo ancora di più».

Attivando quali leve? Come?

«Il 2024 può segnare un nuovo assetto di governance. Siamo regolati da una legge ormai datata, la Gelmini 240/2010, fuori c'è un mondo che galoppa e la pandemia ha segnato un prima e un dopo. La riforma di allora va rivista in funzione dell'oggi».

Partendo da?

«Dal sistema di valutazione, l'attuale è fiaccato da troppa burocrazia. Noi abbiamo bisogno di essere giudicati per i risultati che portiamo, ma il giudizio deve essere costruito su dati».

Altro tema: la didattica.

«Il mercato del lavoro è in continuo divenire, chi avrebbe mai detto che una delle professioni più richieste negli Usa sarebbe stato il sustainability manager? Non sappiamo quali saranno i mestieri del futuro quindi a maggior ragione non possiamo formare sul singolo segmento, semmai sito chiamato ad offrire una formazione ampia, la didattica deve essere più olistica, coltivata in un ambiente il più multidisciplinare e internazionale possibile».

Chi va in questa direzione? Quali i modelli?

«Per i processi di ibridazione, brilla il mondo anglosassone. Attenzione però. Anche alcune nostre università mettono in campo la realtà aumentata piuttosto che l'intelligenza artificiale, da Medicina a Giurisprudenza, cosa che dovrebbe diventare però sistematica per una università motore di innovazione e quindi di crescita economica sostenibile».

All'estero come è percepita l'università italiana?

«Godiamo di più considerazione fuori che in Italia. E' noto quanto sia soffocante la burocrazia e certa rigidità nella didattica. Per il resto, i nostri studenti sono spesso tra i migliori. Però dobbiamo lavorare di più sull'attrattività di studenti e ricercatori stranieri anche in vista dell'inverno demografico che avrà le sue prime ripercussioni sull'università dal 2027».

I laureati italiani continuano ad essere troppo pochi rispetto alla media europea.

«Dobbiamo comunicare agli adolescenti che nulla è più potente della conoscenza. Dobbiamo portarli negli atenei, far vedere i laboratori e le varie attività che sempre già vengono organizzate per coinvolgere la cittadinanza. Vorrei più giornate della Fisica, della Chimica e delle varie discipline, più momenti di discussione e di sperimentazioni aperti ai ragazzi. In Bicocca, per esempio, abbiamo l'Osservatorio di astrofisica che nei fine settimana viene frequentato anche da nonni con nipoti. Abbiamo vivai e orti botanici sempre aperti di sabato per scoprire la biodiversità.

Dobbiamo aprirci sempre di più».

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