Derna (Libia). «Volete proprio entrare in questo cimitero? Allora dovete mettere le mascherine», spiega perentorio un militare in mimetica del generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, la Libia orientale. Il soldato distribuisce mascherine gialle chirurgiche, che non servono a molto, ma fanno passare la paura di pandemie e assorbono un po' il lezzo dolciastro della morte. L'ingresso a Derna rende l'idea dell'apocalisse nella notte fra il 10 e 11 settembre, che ha spazzato via migliaia di persone, 11.300 in tutta la Cirenaica fino ad oggi. Il cavalcavia all'ingresso di Derna è stato spezzato come se fosse un grissino dall'acqua piombata con la forza di un gigantesco maglio sulla città costiera. La tempesta del ciclone Daniel ha fatto saltare due vecchie dighe costruite ai tempi del colonnello Gheddafi dalla Jugoslavia del maresciallo Tito. Subito dopo il cavalcavia una spianata di terra e detriti, che arriva fino al mare fa capire il tragico impatto del Vajont libico, moltiplicato nei numeri delle vittime. In questo solco di terra smossa, a cunette, largo come un'autostrada, c'erano case, famiglie, la vita di una città che conta il più alto tributo di morti e oltre 30mila sfollati.
Per arrivare nell'epicentro dell'olocausto d'acqua abbiamo percorso in macchina, in gran parte di notte, oltre mille chilometri passando dalla Tripolitania alla Cirenaica, che per anni sono state divise da guerre e politica. Adesso, però, una fiumana di aiuti arriva da Ovest verso Est per aiutare i fratelli colpiti da un'alluvione tragicamente storica. Spesso sono i civili ad auto organizzarsi con macchine private oppure sfrecciano i camion di varie organizzazioni carichi di aiuti con bandiere bianche e islamiche punteggiate dalle scritte del Corano. Una sorta di pass verso Derna, anche se i soccorsi fai da te hanno creato all'ingresso della strada costiera che arriva da Al Baida un imbuto di mezzi, che rischiava di intralciare i professionisti dell'emergenza. Fra le prime squadre internazionali giunte sul posto spiccano quelle italiane con la protezione civile e i vigili del fuoco. Ventotto volontari che vivono sotto le tende in un campo base di fortuna e organizzano l'arrivo di tutto quello che serve con i C 130 dell'aeronautica militare. Ai vigili del fuoco è stato assegnato un settore della città devastata dove scavano dall'alba al tramonto. La speranza di trovare qualcuno in vita non muore mai. Secondo la Mezzaluna rossa i dispersi sono 10.100.
L'Organizzazione mondiale della sanità ha chiesto alle autorità libiche di non seppellire i morti in fosse comuni. A Derna ne hanno già riempita una con mille cadaveri. «Un impatto devastante. La macchina dei soccorsi italiana sta operando con squadre, materiali e mezzi per aiutare la popolazione colpita dall'alluvione», ha dichiarato ieri il capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, in una visita lampo nelle aree colpite dalla tremenda inondazione.
Al calare del buio, la città spopolata e militarizzata, diventa ancora più spettrale. Libici e vigili del fuoco italiani lavorano spalla a spalla fra i ruderi di Derna, alla luce delle fotoelettriche, quando si cominciano a trovare nuovi corpi.
Fra i resti di un edificio accartocciato su se stesso è rimasta intrappolata una famiglia di nove persone, in gran parte bambini. «Li stiamo cercando - spiega il comandante della squadra, Luca Rosiello - Andremo avanti ancora e se non bastasse riprenderemo domani mattina».
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