T angenti? Macché. A un mese e mezzo dalla retata della Procura di Milano (operazione «Mensa dei poveri») che colpì una serie di esponenti di Forza Italia in Lombardia e Piemonte, nonché il presidente della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, il tribunale del Riesame smantella le accuse di corruzione a uno degli arrestati più in vista: Fabio Altitonante, consigliere regionale azzurro, che dal 7 maggio scorso era stato messo agli arresti domiciliari. Secondo l'inchiesta del pool antimafia della Procura milanese, Altitonante era responsabile dei reati di finanziamento illecito, falso e soprattutto di corruzione, per ventimila euro che avrebbe incassato per spianare la strada alla licenza edilizia chiesta da un imprenditore. L'ordinanza di custodia lo accusava esplicitamente di «asservimento» agli interessi dell'imprenditore e di avere compiuto «atti e comportamenti contrari ai doveri d'ufficio» in cambio di ventimila euro.
Altitonante, difeso dall'avvocato Luigi Giuliano, aveva scelto di rispondere alle domande del giudice preliminare subito dopo l'arresto, poi aveva chiesto nuovamente di essere interrogato dal medesimo giudice. Un lungo interrogatorio, in cui aveva respinto tutte le accuse. Altitonante ne era uscito convinto di avere chiarito la sua posizione. Invece il giudice aveva respinto la sua richiesta di scarcerazione.
Restava il ricorso al tribunale del Riesame, una chance che - almeno a Milano - ha in genere percentuali assai ridotte di successo. Invece ieri il tribunale ha depositato il provvedimento che accoglie il ricorso del consigliere di Forza Italia sul punto centrale, l'accusa di corruzione, e revoca l'ordinanza di custodia, «previa derubricazione del fatto nell'ipotesi di cui all'articolo 346bis» del codice penale che punisce il «traffico di influenze illecite». Altitonante resta agli arresti solo per il reato di finanziamento illecito, per il quale al massimo il 7 agosto tornerà libero per scadenza dei termini.
Secondo il capo d'accusa, Altitonante si sarebbe dato da fare per far ottenere a Luigi Patimo, imprenditore, il rilascio di un permesso a costruire relativo ad un immobile in via Allegrenza, a Milano, di proprietà della moglie. La colpa di Altitonante, per i pm, consisteva nell'essersi attivato presso un alto funzionario dell'assessorato all'Urbanistica, Franco Zinna, «al fine di assicurare l'esito favorevole della pratica urbanistica».
Che il castello di accuse stesse traballando lo si era intuito già quando Zinna, assistito dall'avvocato Giovanni Brambilla Pisoni, aveva depositato una perizia che dimostrava come l'iter della pratica cara a Patimo fosse stato esattamente il medesimo seguito da tutte le pratiche simili, e non avesse goduto di alcuna corsia preferenziale. Anche l'incontro ottenuto in Comune, secondo la perizia, corrisponde alle prassi abituali dell'ufficio urbanistico.
Al tribunale del Riesame, oltre alle conclusioni dei periti, la difesa di Altitonante ha depositato i documenti che dimostrerebbero come i ventimila euro considerati il «prezzo» dell'intervento non avessero nulla a che fare con la pratica urbanistica. E il tribunale ha accolto, su questo punto, le tesi del consigliere regionale.
Restano in carcere, invece, i
cinque indagati anche per associazione a delinquere, tra cui l'ex consigliere comunale Pietro Tatarella. Nei loro confronti, la Procura intende chiedere il processo immediato per portarli in aula ancora in stato di detenzione.
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