A dieci anni di distanza dall'approvazione della legge 54 sull'affidamento condiviso dei bambini di genitori separati, è possibile trarre una conclusione: che si è trattato di un fallimento. Nonostante le buone intenzioni, i padri sono stati marginalizzati e spesso non hanno la possibilità di stare con i figli nemmeno il 30% della settimana: in vari casi neppure nei fine settimana. In questa situazione, abbiamo bambini che sono orfani di un genitore vivente.Per fortuna c'è chi si batte contro tutto ciò e tiene viva la discussione. L'associazione Colibrì (Coordinamento interassociativo libere iniziative per la bigenitorialità e le ragioni dell'infanzia) da anni richiama l'attenzione sulla triste condizioni di questi genitori che non possono essere tali e, soprattutto, su questi figli che non hanno modo di crescere con il padre: perché nel 90% dei casi, ovviamente, a essere discriminato è appunto il papà.Significativamente quanti animano Colibrì insistono sulle «ragioni dell'infanzia». Perché è evidente, umano, comprensibile e anche giusto che un genitore non voglia smettere di essere tale anche dopo la separazione, ma al centro dell'attenzione in primo luogo deve esserci il presente e il futuro del figlio. Come si può leggere nel sito (www.colibri.it), in questa società sempre più caratterizzata dalla crisi della famiglia e da rapporti affettivi instabili è infatti necessario «tutelare l'infanzia e ridare nuovo vigore e dignità alle relazioni primarie genitori-figli».In queste settimane, in ragione dei molti dibattiti politici e giornalistici sulla Cirinnà, si fa un gran parlare dei diritti degli omosessuali ad avere figli; e in molte di queste discussioni viene messa più volte in subordine l'esigenza dei bambini, che in linea di massima come ben sanno gli psicologi dell'età evolutiva non soltanto vivono come una perdita l'assenza di uno dei due genitori, ma più in generale avvertono la necessità di avere sia un padre sia una madre, confrontandosi tanto con la dimensione maschile quanto con quella femminile e con tutto quanto c'è di archetipico in tali distinti ruoli.C'è allora qualcosa di paradossale in questa attenzione oggi prestata a paternità fisiologicamente impossibili, ma che pure vengono sempre più rivendicate come diritto, a cui si contrappone una paternità reale ed effettiva che però nei fatti viene troppo spesso negata dalla legge e, ancor più, dai comportamenti di giudici e tribunali. Perché una cosa è riconoscere che taluni soggetti non sono titolati a svolgere un ruolo genitoriale e altra cosa, invece, è negare questo statuto a tutti (o quasi) i padri di coppie separate.La situazione di questi genitori soli e soprattutto di questi orfani di un padre ancora vivo aiuta a collocare nella giusta prospettiva pure il dibattito (ideologicamente viziato) di queste settimane. Ogni adozione, in effetti, dovrebbe essere sempre pensata a partire dall'interesse del bambino, e non dei possibili genitori. Non esiste in assoluto un diritto ad adottare: non esiste per le coppie e ancor meno per i single. Ogni persona, invece, può mettersi a disposizione come genitore potenziale di un minore senza famiglia e questo al fine di offrire una vita migliore a quest'ultimo. Ma può diventare tale solo se è in grado di svolgere al meglio quel ruolo: meglio di qualunque altra alternativa.
Il dramma di padri tenuti lontani dai figli è allora, innanzi tutto, il dramma di bambini che non possono crescere con un genitore a cui vogliono bene e che sono stati privati della figura paterna. Prima si coglie il senso autentico di questa situazione e vi pone rimedio e meglio è.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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