Politica estera

"Niente disgelo, è una tregua. Per evitare una guerra calda"

L'esperto dell'Ispi: "Washington e Pechino ammettono di essere in gara, congelata la tensione su Taiwan"

"Niente disgelo, è una tregua. Per evitare una guerra calda"

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Dopo mesi di tensioni, Stati Uniti e Cina si dicono «d'accordo sulla necessità di stabilizzare le relazioni». Filippo Fasulo co-dirige l'osservatorio di geo-economia dell'Ispi, l'Istituto per gli Studi di Politica internazionale, e si occupa di politica ed economia cinese.

Qual è il bilancio della visita di Blinken, a Pechino? Si può parlare di disgelo?

«Non credo, Cina e Stati Uniti non indietreggeranno di un centimetro rispetto alle loro posizioni. Ma si è trattato di un incontro rilevante per dare una direzione alle relazioni in un contesto cambiato».

Quali i punti fermi?

«Entrambi concordano che ci si trova in una situazione di competizione. Il punto è evitare incidenti che vadano oltre, che portino a una guerra calda».

È questo il traguardo dei colloqui? Il «terreno comune» trovato, di cui parla il presidente cinese Xi?

«È il mantenimento dei canali di dialogo. Il punto forte dei comunicati è il riferimento allo spirito dell'incontro tra Biden e Xi al G20 di Bali. C'è la consapevolezza dell'esigenza di mantenere canali aperti per evitare incidenti».

Il rischio di un confronto militare nell'Indo-Pacifico e su Taiwan resta alto. Ma gli Usa dicono di non volere l'indipendenza di Taiwan.

«Qualche settimana fa si è arrivati vicini allo scontro, navi e aerei hanno rischiato la collisione. A questo punto, conta riuscire a capirsi sul fatto che una guerra su Tawain non è nell'interesse di nessuno, che è necessario evitare di arrivare per sbaglio a un conflitto armato».

Quali sono gli interessi americani. E quelli cinesi?

«Gli americani puntano a mantenere la leadership economica, politica e militare e al mantenimento del sistema internazionale, con un modello volto alla sicurezza economica. Ma l'ordine liberale è messo in discussione da Pechino, che lo vuole riformare per creare un nuovo ordine. Nessuno dei due fa un passo indietro».

Per questo è cruciale la battaglia sui microchip? Washington cederà mai sulle restrizioni alle importazioni cinesi?

«Probabilmente no. La pandemia e la guerra hanno dimostrato che è necessario produrre in casa, o da Paesi amici, prodotti fondamentali. Lo abbiamo visto con le mascherine, i reagenti e i vaccini durante il Covid e poi con il gas per il conflitto in Ucraina. Da lì non si torna indietro».

Una battaglia esistenziale?

«Sì, si è capito che se non si hanno in casa materie prime si è in uno stato di debolezza, esposti. Non sono più importanti solamente i costi, ma il controllo della produzione, sul proprio territorio o dei Paesi alleati. L'amministrazione Biden sta lavorando per ridisegnare un nuovo ordine commerciale, abbracciato anche dalla Commissione europea, in procinto di presentare la propria strategia di sicurezza economica».

L'Europa come si pone fra le due superpotenze?

«Deve trovare un punto di equilibrio, non potendosi permettere un rapido sganciamento dall'economia cinese».

Pechino ha promesso di non fornire armi alla Russia. Quanto è credibile?

«Politicamente, non è nell'interesse della Cina fornire armi a Mosca. Pechino gioca un'altra partita, vuole presentarsi come attore di pace, come ha già fatto tra Iran e Arabia saudita, e tenta di fare tra Israele e i palestinesi. Sull'effettiva consistenza del non invio è difficile esprimersi. Un sostegno militare su larga scala sarebbe notato. Nel campo delle ipotesi, penso a qualcosa di limitato, non decisivo».

Quanto la Cina può aiutare a trovare la pace?

«Noi riteniamo Pechino l'unico soggetto in grado di avere influenza sulla Russia e fermare Putin. Ma quello che vediamo, da un anno e mezzo, è che non ha fermato l'azione russa. La ragione non è chiara. Non vuole? Non riesce? Non sappiamo quale delle due opzioni sia peggio. In ogni caso, Blinken non è andato per parlare del conflitto, ma per stabilizzare i rapporti».

La Cina è una spietata dittatura. Quali speranze per i diritti umani?

«Onestamente, poche. In un clima di competizione non c'è spazio per un'azione dell'Occidente. L'intero sistema valoriale occidentale viene rifiutato dalla Cina per un proprio sistema valoriale.

Se in passato gli Usa avevano cercato, in cambio di concessioni commerciali, di vincolare Pechino al rispetto dei diritti umani, oggi non c'è più spazio per questo».

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