«No all'ergastolo duro per i mafiosi»

La Corte Ue per i diritti umani boccia il ricorso italiano. Bonafede: «Non condividiamo»

Diana Alfieri

La Grand Chamber della Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto inammissibile il ricorso dell'Italia contro l'abolizione dell'ergastolo ostativo, cioè il carcere a vita che non prevede benefici né sconti di pena, applicato in Italia per reati gravissimi come l'associazione mafiosa o il terrorismo, in assenza di collaborazione con la giustizia da parte del condannato. La Corte lo scorso 13 giugno aveva considerato ammissibile il ricorso avanzato dal detenuto per mafia Marcello Viola un capocosca di Taurianova, detenuto per 4 ergastoli a seguito di omicidi, sequestri di persona, detenzione di armi, e stabilito che c'era stata una violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Per tutta risposta il governo aveva chiesto che la decisione fosse rinviata per un nuovo giudizio alla Grande Camera.

Ieri il no definitivo all'Italia, cui viene chiesto di riformare la norma sull'ergastolo ostativo.

E così, la Corte dei diritti umani di Strasburgo, ha dato torto all'Italia sull'ergastolo «duro» ai mafiosi e non accoglie il ricorso del governo contro la sentenza del 13 giugno che bocciava il cosiddetto «fine pena mai» in quanto - secondo la giurisprudenza della Corte - a chi è detenuto non si può togliere del tutto anche la speranza di un recupero, ma al soggetto in carcere va riconosciuta la possibilità di redimersi e di pentirsi ed avere quindi l'ultima chance di migliorare la propria condizione.

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha espresso la sua contrarietà alla decisione della Cedu: «Non condividiamo e faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e le ragioni di una scelta che lo Stato ha fatto, tanto anni fa, stabilendo che una persona può accedere anche ai benefici, a condizione però che collabori con la giustizia». Il guardasigilli ha aggiunto che «noi abbiamo un ordinamento che rispetta i diritti di tutti le persone ma che di fronte alla criminalità organizzata reagisce con determinazione». L'Italia, nel ricorso presentato a settembre aveva chiesto che il caso dell'ergastolo ostativo, fosse sottoposto al giudizio della Grand Chambre, l'organo della Cedu che affronta i casi la cui soluzione può riguardare tutti i paesi della Ue.

L'Italia, nel suo ricorso, spiega la specificità criminale del nostro Paese, la pericolosità stragista delle mafie, Cosa nostra, camorra, 'ndrangheta. Il ricorso motiva la ragione delle norme rigide sull'ergastolo spiegando che esse riguardano solo alcuni reati molto gravi - mafia, terrorismo, pedopornografia - e consentono una strategia severa contro chi, aderendo a un'organizzazione mafiosa o terroristica, si pone l'obiettivo di destabilizzare lo Stato.

Eppure l'orientamento della Cedu va in tutt'altra direzione e quell'ergastolo duro, che impedisce la concessione di benefici, viola l'articolo 3 della Convenzione che vieta la tortura, le punizioni disumane e degradanti, soprattutto nega la possibilità di un percorso rieducativo. Da qui l'invito all'Italia a rivedere la legge.

Un invito che non rappresenta un obbligo, ma produce però come conseguenza una serie di altri ricorsi di detenuti che lamentano condizioni disumane, tant'è che a Strasburgo ce ne sarebbero già altri 24. «L'Italia subirà ripetute condanne per non avere adempiuto all'obbligo di rispettare una delle norme chiave della Cedu», dice Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale all'Università di Ferrara.

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