Milano - Si chiamano Controcorrente i dibattiti del Giornale, così la prima cosa da fare è cercare di capire dove tira la corrente e per risalirla è inevitabile guardare la battaglia per il Sì al referendum che sta impegnando il presidente del consiglio, Matteo Renzi.
Il dibattito al Four Season di Milano, primo di una serie di tre giorni, è guidato dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, con Mariastella Gelmini e Roberto Maroni, e quasi non vale la pena di dire che in questo senso è molto controcorrente e «fuori dal coro». Per partire dal fondo, ovvero dal giorno dopo il 4 dicembre, data del referendum, dice Maroni: «Se vince il No, dopo gli ultimi incontri con Berlusconi, sono sicuro che non ci sarà alcun Nazareno bis. Si tornerà a votare». Ma il centrodestra è pronto ad andare a votare? chiede Sallusti, che parla di «ultimo bus per il centrodestra».
Gelmini pensa che non ci siano alternative: «Grande fiducia nella democrazia e saldo governo Renzi negativo. Votare dopo il referendum non è il male assoluto. Bisogna entrare dalla porta principale, non dalla porta di servizio, per governare. Ma dobbiamo evitare di fare i Tafazzi: divisi non si va da nessuna parte». E i Cinque Stelle? «Sono un pericolo minore per come stanno governando Roma...». E ancora: «Dobbiamo essere uniti. Non avere paura di coloro che, come Stefano Parisi, vogliono mettersi alla prova».
Meno entusiasta di Parisi è Maroni: «Gli ho dato grande apertura di credito all'inizio. Dalla sua convention mi aspettavo almeno due o tre proposte. Non le ho viste...».
Il presidente della Regione espone la sua ricetta: «Darsi una mossa e prepararsi. Trovare alleanze e un programma condiviso, sennò litighiamo tra di noi. Io sceglierei il candidato premier con le primarie fatte bene. Mi muoverei subito. Forse si voterà nel 2018, ma se il No dovesse vincere di molto, è possibile che si vada alle elezioni subito».
Si entra nel vivo del perché votare No. Il presidente della Regione, Maroni, spiega che la Lombardia sarebbe penalizzata dalla riforma. «La rappresentanza vera c'è nel Bundesrat, il senato dei Laender, perché in quel caso rappresentanti andrebbero a Roma a spiegare quel che vuole la Lombardia. Ma questa sarà la rappresentanza dei partiti della Lombardia, non degli eletti dal popolo. Mi sembra un retrocedere senza alcun vantaggio. Lo svantaggio è che alcuni consiglieri saranno assenti e i lavori ne risentiranno. Voglio il Senato federale ma quello che funziona, quello vero: il Bundesrat». È ancora: «Per noi Lombardia c'è solo un peggioramento. Almeno oggi ho riferimenti politici e istituzionali. Invece domani questi, essendo sindaci e consiglieri, faranno quello che vogliono».
Mariastella Gelmini, vicepresidente dei deputati azzurri e coordinatrice regionale del partito, sottolinea quel che di negativo c'è già prima del 4 dicembre: «Il governo nazionale è paralizzato. A parte il Def, per distribuire mance, non si fa più nulla. Il presidente del Consiglio passa da un talk a un altro per convincere gli italiani che dal referendum dipende dalla loro vita. Invece da lì dipende solo il destino di Renzi. Ma non si può cambiare la Costituzione come una lavatrice».
Gelmini fa anche una retrospettiva di come si sia rotto il patto del Nazareno, il tentativo di riforme comune tra centrodestra e centrosinistra: «Noi in una fase iniziale, perché non siamo il partito del no, avevamo dato un'apertura di credito voluta da Berlusconi verso Renzi. Poi Berlusconi si è reso conto che Renzi è inaffidabile e non meritava questa fiducia. Anche nei contratti c'è un diritto di recesso». Perché rompere sul presidente della Repubblica? «È il garante delle istituzioni! Renzi ha cambiato la maggioranza e cambiato le carte in tavole. Non poteva pensare che a un simile comportamento non seguisse nulla.
Tutto ciò dimostra il non carattere e la non credibilità di Renzi. Non è un caso se non riesce a convincere nemmeno il suo partito. Come può pensare di convincere gli italiani? Come pensare che il centrodestra potesse seguire sua riforma?». Controcorrente, ma non troppo.
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