La (pericolosa) tentazione della Francia

Il paradosso è che, nonostante la riforma che due anni fa fece scendere in piazza il Paese, la Francia rimane ancora oggi la Nazione europea in cui si va di gran lunga in pensione prima

La (pericolosa) tentazione della Francia

Il nodo della discordia, in Francia, sono le pensioni. "Avete il potere di rovesciare il governo" ma non di "cancellare la realtà". Le parole di Raymond Bayrou, prima di incassare la sfiducia dell'Assemblea Nazionale poco più di un mese fa, rimbombano ancora, anche nelle orecchie di Sebastien Lecornu, che ritenta per ordine di Macron di fare un Governo e una manovra finanziaria (di tagli, ma non troppo) per la Francia.

Uno dei nodi probabilmente il vero nodo è la riforma delle pensioni. La modifica che sta facendo più discutere è sicuramente quella che sta portando l'età pensionabile dai 62 anni vigenti nel 2023, quando venne firmata la riforma, seguita da scioperi e scontri sociali accesissimi - a 64 anni, con una progressione che è stata rallentata, ma che la sinistra vorrebbe cancellata. Il costo della fine della riforma? Secondo alcuni calcoli circa 20 miliardi entro il 2030.

Il paradosso è che, nonostante la riforma che due anni fa fece scendere in piazza il Paese, la Francia rimane ancora oggi la Nazione europea in cui si va di gran lunga in pensione prima (escludendo le forme di pensionamento anticipato): 62 anni e 6 mesi. In Germania la soglia è 66 anni e 2 mesi, in Spagna 66 anni e 8 mesi, in Italia 67 anni. Attenzione, qui parliamo di "età legale", bisognerebbe ricordare che l'età "reale" del pensionamento a esempio in Italia è inferiore ai 64 anni. Ma fermiamoci ai numeri "formali".

Quando nel 2011 mi toccò di spiegare alle rappresentanze nazionali dei sindacati ero presente, in qualità di presidente Inps, insieme alla ministra Elsa Fornero, che si intestò la riforma, al premier Mario Monti, e al ministro per i Rapporti con il Parlamento e commissario alla spending review, Piero Giarda il meccanismo della riforma, il timore che ci fossero proteste c'era. Ma prevalse il buon senso e la corresponsabilità. La riforma, così tanto caldeggiata dall'Europa, divenne legge senza un'ora di sciopero e senza una manifestazione. L'Italia aveva fatto "i compiti a casa". E direi bene, visto che quella impalcatura tiene, dopo 14 anni e dopo tanti aggiustamenti tra salvaguardie per gli esodati e quote per uscite anticipate che non hanno inficiato la sostanza dei conti.

Come dice spesso Alberto Brambilla, in Italia la spesa previdenziale non deve preoccupare (nonostante la crisi demografica: ci pensano i meccanismi introdotti già dalla riforma Sacconi-Tremonti, con l'adeguamento automatico dell'età legale all'aspettativa di vita), è invece fuori controllo quella assistenziale.

Dopo tutti questi anni l'Italia dovrebbe tenersi stretta la riforma previdenziale del 2011 che ha contribuito, nel medio periodo, a frenare il rapporto deficit/Pil, che giustamente il ministro Giorgetti quest'anno può celebrare sotto la soglia del 3%. E guardare dall'alto in basso perché no? l'asse franco-tedesco che allora amava sbeffeggiarci. Non si possono dimenticare i risolini di Angela Merkel e di Nicolas Sarkozy, all'indirizzo del Governo italiano e del suo premier che ebbe la forza di farsi da parte per sostenere convintamente il Governo Monti.

Oggi Angela Merkel cerca di scrollarsi di dosso il peso della politica europea arcigna e improduttiva, accusando Polonia e Paesi Baltici sul fronte della politica estera, mentre la sua Germania ha perso il titolo e il ruolo di locomotiva d'Europa, puntando tutto sul riarmo. Nicolas Sarkozy è stato condannato a cinque anni di carcere, e non ha più molto da ridere; così come la sua Francia affannata per i conti pubblici lasciati allo sbando, capace di accusare l'Italia di essere più attrattiva per gli investitori stranieri a causa di una politica fiscale di vantaggio, dimenticando Irlanda e Lussemburgo, e non solo.

Ora Parigi, che due anni fa aveva cercato di seguire la strada segnata

dall'Italia sull'innalzamento dell'età pensionabile per mettere in sicurezza i conti pubblici vuole ripensarci. Speriamo che Roma sappia resistere a tentazioni lasche e continui sulla strada del rigore, almeno sulle pensioni.

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