«Jupiter» con i suoi semidei intorno. Quelle personalità che nella Macronia hanno trovato fortuna e carriera, spesso senza un percorso alle spalle, si stanno trasformando in demoni per il capo dello Stato francese, sempre più solo e affetto dalla sindrome del genio incompreso. L'ultima defezione è personale. Trattasi del fidatissimo capo della comunicazione al servizio dell'Eliseo, il 46enne Sylvain Fort. L'uomo dei discorsi, delle citazioni letterarie e già tentato salvatore dell'immagine presidenziale dopo la crisi politica che l'estate scorsa portò alla luce l'affaire Benalla.
Mentre continuano a emergere prove di contatti tra il presidente e l'ex bodyguard licenziato a luglio - che nel frattempo si era tenuto due passaporti diplomatici per affari privati - la plume di Emmanuel Macron (per lui più di 300 discorsi scritti tra l'agosto 2016 e il dicembre 2018) fa sapere che non lavorerà più al fianco del presidente da fine gennaio, pur assicurando che la special relationship «resterà intatta».
La conta delle defezioni è implacabile. Come l'agenda del Quinquennato che prepara il terreno a nuove proteste anti-Macron. Dopo i tagli previsti al comparto polizia e le rimostranze sindacali, il governo francese punta a tre riforme nel primo trimestre: cassa integrazione, sistema istituzionale e modifica alla legge sulla laicità, il totem che dal 1905 regola la separazione Stato-religioni. Controlli alle moschee e obbligo di pubblicazione di bilanci e proventi dall'estero. Ma intanto la procura di Parigi indaga per risalire all'origine di 144mila euro destinati alla creatura di Macron, En Marche, nella campagna presidenziale.
Le Monde ricorda che l'esecutivo prevede tagli dai 3 ai 3,9 miliardi di euro in tre anni per la cassa integrazione. E c'è aria di sfida tra gli impiegati pubblici, pronti alla mobilitazione se non si trova soluzione ai posti da sopprimere da qui al 2022 in cambio di salari al rialzo. I gilet gialli hanno impedito a Macron di pronunciarsi su questo tema l'11 dicembre: avrebbe dovuto parlare a 1800 dirigenti pubblici, ma il movimento aveva già preso il sopravvento.
Mercoledì sera l'arresto bis di uno dei leader dei giubbotti: il camionista Eric Drouet, fermato per la seconda volta (poi rilasciato) in pochi giorni, ora sta facendo ricadere sul governo anche l'accusa di uso politico della polizia. «Cercano di addossarci responsabilità che non abbiamo», ha detto ieri uscendo di prigione. In un clima già avvelenato dalle rivelazioni su Alexandre Benalla, piovono critiche pure sulla presidente della commissione parlamentare d'inchiesta che l'estate scorsa chiuse in fretta i lavori e oggi non vuole più indagare sul bodyguard. Lo scambio di messaggi tra Macron e il 27enne dopo il suo licenziamento è stato ammesso da entrambi: nulla da approfondire per Yaelle Braun-Pivet. Mentre chi ha vissuto finora in osmosi con Macron fugge dal Palazzo, vedi lo stratega Stéphane Séjourné.
Pronto a uscire di scena anche il consigliere speciale del presidente Ismael Emelien; a dicembre hanno salutato le consigliere Barbara Fugier (comunicazione internazionale) e Ahlem Gharbi
(Medio Oriente e Nordafrica), per citare solo i più recenti abbandoni dell'Olimpo. Con le elezioni europee che incombono e i gialli in carcere, la Macronia si sta sgretolando e c'è sempre meno fila per lavorare col presidente.
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