
Non c'è nessuno a Parigi che sappia davvero come salvare la madre Terra. Non c'è un'intesa. Non c'è una vera volontà politica. Non c'è una ricetta. In compenso ci sono scorie di parole, un bunker per i leader di tutto il mondo, trecentoquaranta associazioni, un centinaio di stand, trecentosessanta conferenze, una ventina di mostre, più di seicento progetti e il fiato di quella che chiamano società civile. Tutto questo non è che non serva o sia inutile, inquinare poco fa bene a tutti, ma puzza un po' di falso. L'impressione è che la salute della madre Terra sia alla fine quasi una scusa, perché quello che interessa veramente è trovare un colpevole. Chi è l'assassino? Ora, siccome il maggiordomo è una risposta non abbastanza banale ne serve una ancora più scontata: il capitalismo. È un cattivo buono per tutti i delitti e che indica tante cose: un modo di vivere, il consumismo, l'egoismo, i ricchi, una civiltà sempre sull'orlo dell'apocalisse, la produzione, il modello industriale, le automobili, il riscaldamento, le comodità, la dispersione di energia. I più radicali testimoni d'accusa sono naturalmente quelli che vivono in Occidente e sospirano al riparo di tutti questi vizi. Non è solo per senso di colpa. È che una società bene o male aperta genera nemici e, per fortuna, anche anticorpi, le altre, utopiche o teocratiche, che ti vendono il paradiso in terra, invece no. Niente divergenti. Nemici e anticorpi li scannano. Come si fa d'altra parte a contestare il paradiso? Chi non è d'accordo è un dannato, da estirpare.Una volta trovato il colpevole arriva il difficile. Non si è ancora ben capito quali siano le alternative. Un'idea è quella di tornare indietro, girare velocemente le lancette della storia, cancellare tre o quattro secoli e recuperare il mito del buon selvaggio o sognare le praterie dei Navajo o degli Apache. Affascinante. Ma, a parte che bisogna avere il coraggio di pagarne i costi, cioè rinunciare a parecchio, e molti degli intellettuali alla Piketty o alla (...)(...) Naomi Klein faticano già a sacrificare il quarto d'ora di celebrità della tv o della rete, c'è anche una difficoltà concreta. Non si torna indietro. Il paradiso è perduto e gli uomini non si adattano al passato.L'altra grande utopia è il materialismo storico, la grande promessa del marxismo, la filosofia politica come scienza e profezia. Il comunismo come idea è tornato di moda. Il fallimento del 1989 è stato cancellato in fretta. La seduzione della grande utopia fa battere il cuore della «repubblica delle lettere». Gli errori del passato sono un accidente, il sogno continua. Basta proprietà privata, i mezzi di produzione di nuovo in mano al «grande noi», mastodontico e come sempre poco definito. Il problema è che il «grande noi» non ha mai avuto questa profonda sensibilità nei confronti dell'ambiente. Il «grande noi» è quello di Cernobyl e che ha pianificato l'avvelenamento dei laghi Aral e Bajkal in Unione Sovietica. È quello che durante la rivoluzione culturale in Cina ha sventrato la verginità della Mongolia. È la storia raccontata nel romanzo di Jiang Rong e nel film di Jean-Jacques Annaud, L'ultimo lupo. Vale la pena conoscerla, solo per non puntare il dito sempre dalla stessa parte. Non per redistribuire le colpe, ma per capire che non ci salverà lo Stato assoluto e per non avere troppa fiducia nella razionalità dei burocrati.Qualcuno magari si fida dell'etica degli Stati. È ottimista o in malafede. Non come Murray Rothbard, un maledetto libertario, che fa notare il fallimento della tutela pubblica dell'aria e dell'acqua. I funzionari di governo non hanno alcun interesse economico a preservare la purezza e il valore dei fiumi. È per questo che non sono stati tutelati. «Se una società privata possedesse il Lago Erie - scrive Rothbard - allora chiunque scaricasse rifiuti nel lago sarebbe prontamente portato davanti ai giudici per l'aggressione contro la proprietà privata e costretto dai giudici a pagare i danni ed a cessare e desistere da ogni ulteriore aggressione». Rothbard, come altri anarco-capitalisti, non crede alla buona fede degli Stati e pensa che forse per tutelare davvero la bellezza della natura sia più utile e razionale «privatizzare il chiaro di luna». Non avverrà. È una provocazione, ma serve a ricordare che la proprietà privata è più sensibile al destino della madre Terra rispetto all'indefinito «grande noi». Senza passare per Rothbard si può comunque riconoscere che tutti quelli che vogliono salvare il mondo farebbero bene a preoccuparsi del proprio giardino di casa. Un giardino che può essere grande come una valle, un territorio, un corso d'acqua, quel pezzo di natura che ti sta vicino. Il sospetto è che troppi apocalittici in mostra a Parigi siano così impegnati a salvare il mondo dal capitalismo da dimenticare gli stupri ambientali della porta accanto.E forse questa Terra snaturata ora più che mai avrebbe bisogno del genio creativo del capitalismo. È la tecnologia bianca e pulita e a costi sempre più bassi la vera scommessa di chi non vuole morire avvelenato.
La salvezza della madre Terra non è in paradiso e non è più nemmeno nel passato. È da qualche parte nel futuro e per arrivarci servono idee, coraggio, rischio, spirito d'impresa, capitali e fortuna. L'assassino forse è la nostra ultima speranza.