Milano «Prima di scrivere su di me fatevi tutti quanti un esame di coscienza!». Dall'alto delle sue condanne per estorsione, corruzione e bancarotta ieri Fabrizio Corona convoca i giornalisti fuori dall'aula dove è stato nuovamente giudicato e condannato e li arringa: e non si capisce se è più un invito o una minaccia. «Mi avete dato del mafioso, di chi ricicla soldi sporchi, mi sono fatto sei anni di galera e oggi mi danno sei mesi, giusto perché non potevano assolvermi».
A parte i toni da Sparafucile, su un dato però Corona ha ragione: l'ultima inchiesta contro di lui, condotta con grande impiego di mezzi dal pool antimafia della Procura di Milano, si è conclusa con una sentenza che fa il rumore di un palloncino sgonfiato. Dietro ai pacchetti di contanti trovati nel controsoffito della sua segretaria si erano evocate le ombre più fosche, dai contatti con la mala allacciati in carcere al misterioso attentato subito pochi giorni prima. Invece tutto si riduce a una banale storia di evasione fiscale. Già in primo grado i giudici avevano condannato Corona a solo un anno di carcere, ieri in appello il «re dei paparazzi» si vede concedere persino le attenuanti generiche e dimezzare la condanna: sei mesi. «La Procura di Milano ha fatto una figura orribile», chiosa l'avvocato Ivano Chiesa, difensore di Corona. «Dedico questa vittoria a mio figlio», dice Corona: il ragazzo si chiama Carlos, e ha accompagnato papà in tribunale, ma avendo sedici anni non lo hanno fatto entrare in aula, ed è rimasto su una panca bersagliato dai fotografi. Il padre ricorda l'obbligo di oscurarne le fattezze per rispetto della minore età: anche se pochi giorni fa lui stesso ha tenuto a battesimo il profilo Instagram di Carlos, balzato istantaneamente a 191mila followers.
Il bel Fabrizio viene assolto con formula piena dall'accusa più grave, intestazione fittizia dei beni, reato che in genere viene contestato a prestanome e riciclatori: le sentenze riconoscono che i quattrini erano suoi (e infatti gli verranno restituiti quasi tutti), e che piazzarli nel controsoffitto non era più criminoso che imboscarli sotto il materasso come facevano i nostri nonni.
Blanda, quasi benevola: ma quella di ieri rimane una condanna: una nuova condanna nel già lungo curriculum giudiziario di Corona, e destinata forse a peggiorare parecchio le prospettive dell'ex di Nina Moric e di Belen. Il problema non sono tanto i sei mesi di carcere quanto l'impatto che questa sentenza potrà avere sull'affidamento ad una comunità di recupero per tossicodipendenti, che ha permesso all'uomo di lasciare il carcere di Opera.
Il prossimo novembre il tribunale dovrà riconsiderare la scelta, alla luce delle ripetute violazioni da pare di Corona degli obblighi connessi all'affidamento: la più grave in occasione della penultima udienza del processo d'appello, quando dopo che il procuratore generale aveva svolto la sua requisitoria le si avventò contro dicendole «non ha capito un cazzo».
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