Settantacinquemila firme raccolte per fermare le sue esibizioni e non «banalizzare le violenze sulle donne». Lui che decide di annullare la tournée nella quale avrebbe dovuto esibirsi durante vari festival in Francia, «per mettere fine alla polemica». E poi fa sapere che continuerà a suonare come solista, invocando su Facebook «il diritto al reinserimento», «perché ho pagato il debito al quale la giustizia mi ha condannato». Bertrand Cantat, musicista e cantautore francese è oggi l'artista che divide la Francia. Il debito di cui parla lo ha pagato 14 anni fa, quando fu condannato a otto anni di carcere per un delitto che ha scioccato il Paese: l'uccisione della sua compagna, l'attrice Marie Trintignant, che nel 2003 morì a Parigi - aveva 41 anni - per le botte con cui lui l'aveva massacrata in Lituania, dove Marie si trovata per girare un film. Per questo, e per molto altro, ora c'è qualcuno che vuole sbarrare a Bertrand la strada della sua nuova vita dopo il carcere. E che riapre il dibattito sull'eterna dicotomia tra l'uomo e l'artista. In una storia che è un mix di pubblico e privato degna di sollevare diverse altre domande, in un momento storico cruciale, quello del movimento #MeToo e delle denunce sulle molestie sessuali che hanno investito diversi big del cinema e dello spettacolo, da Roman Polansky a Harvey Weinstein a Kevin Spacey. La prima questione: si deve separare la persona dal professionista oppure l'arte non può prescindere dall'uomo che la fa? E ancora: il ritorno sulla scena di si è macchiato di delitti gravi è un'offesa ai parenti delle vittime oppure rappresenta un'occasione di reinserimento che non può essere negata? Questioni controverse, le stesse che hanno costretto Kevin Spacey ad abbandonare i panni di star del momento dopo le denunce sulle sue avance sessuali indesiderate. E qui il tema si ripropone. Da una parte c'è una folta petizione che ricorda agli organizzatori del festival Les Papillons, sulla Manica, come l'uccisione della compagna Marie non sia la sola macchia nel passato di Cantat, uomo violento. Di mezzo c'è anche la tragica fine della ex moglie, Krisztina Ràdy, con la quale Cantat ha avuto due figli e che testimoniò a suo favore in occasione del delitto dell'attrice Trintignant. I due si rimisero insieme all'uscita dal carcere di lui, ma lei si suicidò nel 2010, non prima di aver riferito ai familiari l'inferno che stava vivendo con l'ex marito, botte incluse. E infine la recente denuncia, datata 15 febbraio, di un'altra donna di 45 anni, che si è presentata al commissariato di Parigi dicendo di avere paura per la sua sicurezza dopo aver conosciuto Cantat. «Ha un comportamento minaccioso e violento psicologicamente».
Lui però su Facebook difende le proprie ragioni. Si scusa per il suo passato: «Rinnovo la mia compassione più sincera, profonda e totale alla famiglia e alle persone vicine a Marie». Poi l'annuncio dell'addio alla tournée. Ma sul resto è chiaro: «Ho pagato il debito al quale la giustizia mi ha condannato. Ho scontato la mia pena. Non ho beneficiato di privilegi.
Mi auguro oggi, allo stesso titolo di qualsiasi altro cittadino, il diritto al reinserimento, il diritto di esercitare il mio mestiere, dei miei parenti a vivere in Francia senza subire pressioni o calunnie. Il diritto del mio pubblico a presentarsi ai miei concerti e ascoltare la mia musica». Ma la madre di Marie, Nadine Trintignant, non se ne fa una ragione. «Vergognoso, indecente, disgustoso», commenta affranta.
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