Sembrava un partito senza bussola. Anzi, un Titanic pronto a sbattere contro l'iceberg delle presidenziali 2022, per essere messo poi nelle cantine della storia. Invece è bastato un trionfo locale - vittoria in 7 macro-regioni dove la destra già governava a conferma di un apprezzamento del lavoro fatto negli ultimi sei anni - per rimettere al centro della scena nazionale Les Républicains, il cartello neogollista francese che ha scompaginato l'nnunciata sfida di primavera per l'Eliseo tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen.
Non sarà invece solo una gara a due, e ieri c'è stato un assaggio del probabile nuovo duello. Quello tra Macron e il grande vincitore delle regionali «golliste»: il 56enne Xavier Bertrand (confermato presidente col 52,37 per cento battendo socialisti e lepenisti nel secondo turno). Improvvisamente proiettato sul palco come «terzo uomo» per l'Eliseo, a Les Echos parla già da candidato a capo dello Stato: «La mia non è arroganza, non ci credo già, ma credo di vedere la strada, non solo per vincere ma pure per governare. Con Macron è guerra da tempo». Ieri, poi, il primo faccia a faccia con l'avversario dichiarato al sito industriale Renault vicino a Douai (feudo di Bertrand) per l'apertura di una fabbrica cinese di batterie e per lodare l'attrattività francese. «Zeru tituli» per il partito del presidente alle regionali e primo scambio al vetriolo tra due potenziali finalisti per l'Eliseo.
Macron è raggelato dalla freddezza del candidato in pectore. «Complimenti - dice il capo dello Stato -. Felice di essere qui con lei. È un passo, ma sappiamo tutti cosa c'è dietro...». Bertrand concede un «grazie» ma si congratula con se stesso, per essere «riuscito a far arretrare» nella sua regione il Rassemblement di Le Pen.
Macron (che al secondo turno in Alta-Francia aveva pure indicato ai suoi di votare il neogollista, magari sperando in un ripensamento di Bertrand per la corsa 2022), si mostra galantuomo: «Quando ci investi, ci arrivi». Ma la bordata Bertrand l'aveva già consegnata al quotidiano Les Echos: «Essere simpatici sul campo non sostituisce l'avere risultati».
In effetti, dopo aver inviato 5 ministri in extremis a difendere i colori di En Marche nell'Alta-Francia, con esiti disastrosi (fuori al primo round), Macron si era lanciato in un «pellegrinaggio» elettorale. Ieri il presidente è stato pure costretto a dire a mezzo stampa che «le elezioni locali non richiedono conseguenze nazionali». «Se volete uno scoop, non cambio primo ministro», rivela alla rivista Elle. Jean Castex resterà a Matignon «nei prossimi mesi».
Al capo dello Stato non resta che ufficializzare l'investimento di 2 miliardi di euro da parte del gruppo Envision e mille caselle di lavoro entro il 2024. Ma sul posto c'è sempre Bertrand: ogni frase, ogni gesto, passati ai raggi X, mostrano il politico cresciuto nella cantera di Jacques Chirac, e già ministro di Sarkozy senza passare dalle grandi scuole (Sciences-Po o Ena), in piena gara. Guarda al presidente francese come un semplice avversario da battere. Il repubblicano senza più tessera cresce già di 3 punti nel gradimento, al 16% delle intenzioni di voto 2022 al primo turno; Le Pen è al 26%, Macron al 25%.
Bertrand promette pure di evitare il ritorno dei gilet gialli «perché porterò soluzioni», pungendo ancora Macron su un nervo scoperto della sua presidenza.E su di lui potrebbero convergere anche gli altri due moschettieri della destra, Valérie Pécresse e Laurent Wauquiez, ancora divisi sull'ipotesi di primarie.
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