Roma - Dopo la condanna ecco la multa. La Corte europea dei diritti umani (con sede a Strasburgo) aveva certificato, lo scorso 21 luglio, la violazione da parte del nostro Paese dell'articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Quell'articolo, in pratica, che sottende le unioni civili omosessuali («Diritto al rispetto della vita privata e familiare»).
Dopo il danno ecco la beffa. A quel punto il nostro Paese aveva tre mesi di tempo per presentare il ricorso, senza il quale sarebbe scattata la sanzione. D'altronde la Corte di Strasburgo è un organismo internazionale, non europeo. Non ha potere di imporre norme ma solo quello di sanzionare il mancato rispetto della Convenzione (firmata a Roma nel 1950).
E pensare che all'indomani della condanna (appunto il 21 luglio scorso) in tanti avevano auspicato una soluzione politica. Dalla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini («Ora bisogna agire. Il Parlamento non può più rinviare») al ministro dei Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi («A settembre dopo le riforme costituzionali approveremo al Senato le unioni civili»), in tanti alzarono la voce contro quella sentenza non perché contraria al diritto italiano ma perché appunto l'Italia stava lavorando proprio per omologarsi.
L'ottimismo del governo, però, è stato eccessivo. A oggi ovviamente la legge non è arrivata. Quando sarebbe bastato un semplice ricorso per fermare, intanto, la multa che l'Italia dovrà tirar fuori. C'è un caso analogo nel passato recente. Contro una sentenza della Corte di Strasburgo il governo Berlusconi ricorse e vinse in appello, grazie al lavoro dell'allora ministro degli Esteri Franco Frattini. Nel 2009 la Corte aveva accolto il ricorso di una cittadina di origine finlandese che si sentiva oltraggiata per la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. Non solo l'Italia allora bloccò il procedimento della multa con la presentazione del ricorso ma ottenne anche piena soddisfazione finale. Oggi niente di tutto questo. La legge, auspicata dalla Boldrini e prefigurata dalla Boschi non è arrivata. E il governo si è ben guardato dal presentare ricorso. I soliti maliziosi vedono in questa «sbadataggine» un piccolo regalo del governo verso quella parte del mondo politico chiamato a sostenere il cosiddetto «ddl Cirinnà». Il disegno di legge, cioè, che offrirebbe il via libera proprio alle unioni civili e alle adozioni per coppie gay.
«Chiediamo al ministro Orlando, che ha tanto enfatizzato la sentenza della Corte di Strasburgo, se sarà lui a pagare la multa» avverte il deputato Alessandro Pagano (Area popolare) «È molto grave quanto avvenuto - prosegue il parlamentare - frutto chiaramente di una scelta ideologica del governo che, pur di acquisire il consenso delle lobby gay, ha deciso di non presentare ricorso, rischiando così di far pesare sulle casse pubbliche, e quindi sulle tasche degli italiani, l'inevitabile pagamento della sanzione, oltre ad aprire la porta all'ipotesi di ricorsi di altre coppie omosessuali. Mentre per la famiglia tradizionale non si fa niente».
Infatti lo Stato ora dovrà pagare il «risarcimento» ai ricorrenti. E in questo caso si tratta di tre coppie omosessuali. Ognuna riceverà 5mila euro.
Solo che in Italia, come accertato dall'Istat nel 2012, un milione circa sono le persone che si dichiarano omosessuali. Se ognuna di queste facesse adesso ricorso forte della sentenza di Strasburgo, il costo della sanzione risulterebbe ben più salato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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