Pier Ferdinando Casini varca l'ingresso del Tempio di Adriano con al collo una sciarpa bianca, rossa e blu, che ricorda la squadra di calcio del Bologna. Sarà lì, nella sua città natale, che l'ex presidente della Camera, eletto per la prima volta in parlamento nel 1983, si giocherà un seggio a Palazzo Madama. Questa volta, sotto le insegne del centrosinistra. La presentazione della lista Civica popolare, guidata dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, un passato da coordinatrice regionale di Forza Italia nel Lazio, è un ritrovo di vecchi navigatori della politica. Molti di loro amano definirsi centristi, con licenza di stringere accordi a destra oppure a sinistra a seconda delle circostanze.
Seduti nelle prime file ci sono Gianpiero D'Alia, sottosegretario all'Interno nel terzo governo Berlusconi e ministro con Enrico Letta, e Fabrizio Cicchitto, tanti anni ai vertici di Forza Italia e Popolo delle libertà prima di passare al Nuovo centrodestra. Sale sul palco il nipote di Ciriaco De Mita, Giuseppe, deputato, già assessore in Campania ai tempi del centrodestra di Stefano Caldoro. Oggi guida «L'Italia è popolare», con l'obiettivo di fare man bassa di voti in provincia di Avellino. In sala ci sono anche Andrea Olivero, vice ministro dell'Agricoltura entrato in Parlamento con Scelta civica, e Jean-Léonard Touadi, assessore a Roma ai tempi di Veltroni. Oggi Touadi è candidato presidente del Lazio per Civica popolare, dopo il veto imposto da Liberi e uguali all'ingresso nel centrosinistra. Il partito di Pietro Grasso, infatti, ha accettato di sostenere Zingaretti, ma ha detto no a ogni possibile accordo con Cp.
Il 4 marzo, il raggruppamento fondato dalla Lorenzin sarà alleato del Partito democratico, e a sostenere la ministra della Salute arriva al Tempio di Adriano Paolo Gentiloni: «C'è grande bisogno di questo contributo nella nostra coalizione», dice il presidente del Consiglio. I leader di Cp sperano che l'apporto del premier serva a guadagnare consensi. Non è per niente certo, infatti, che la lista ottenga l'uno per cento necessario a contribuire al risultato del centrosinistra. A sentire loro, partecipare alle elezioni è già un gran risultato, «un miracolo», dice Casini dal palco.
Il grande assente è Angelino Alfano, capofila della svolta a sinistra operata da alcuni dei presenti, che non si ricandiderà. Dalle giravolte di questi anni, il titolare della Farnesina è uscito con le ossa rotte. La platea però gli tributa un applauso: «Un grande amico, un grande ministro dell'Interno, un grande ministro degli Esteri», grida Casini.
A fare gli onori di casa è la Lorenzin, in giacca fucsia come il simbolo alle sue spalle. Al centro dello stemma, c'è una peonia gialla. Nelle intenzioni originarie, avrebbe dovuto esserci una margherita, ma era troppo alto il rischio di una guerra «floreale» con Francesco Rutelli, geloso del vecchio logo del suo partito. I leader dello schieramento si alternano al microfono, tra attacchi alla Lega e ai Cinqu stelle («miscela di arroganza e incompetenza», sentenzia Casini) e appelli al pantheon democristiano («Ai moderati del centrodestra direi che De Gasperi si rivolta nella tomba. Il loro vero leader si chiama Matteo Salvini», attacca Lorenzo Dellai).
Pure la Lorenzin se la prende con il «modo di fare politica sulle false promesse, che porterà a riconsegnare il paese a chi professa la paura».Sostiene la lista anche il leader dell'Italia dei Valori, Ignazio Messina, che oggi fa comunella con i politici che hanno fatto parte dei governi di Silvio Berlusconi, tanto criticati ai tempi di Antonio Di Pietro.
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