Nuova sfida per il centrodestra: dopo il catasto ora c'è il cuneo fiscale

La sinistra prenota risorse per i redditi bassi. Taglio Irpef a rischio

Nuova sfida per il centrodestra: dopo il catasto ora c'è il cuneo fiscale

Il centrodestra rischia un'altra amara sorpresa dopo l'inserimento nella Nadef della revisione degli estimi catastali. Il pressing per il taglio del cuneo fiscale sui redditi medio-bassi è ancora molto forte e l'asse Pd-M5s-Leu sta spingendo con i tecnici del ministero dell'Economia affinché i primi interventi si concentrino sulle fasce medio-basse sia per una questione di opportunità politica (e di consenso elettorale) sia per una questione di minori costi (l'estensione del bonus Renzi ai redditi fino a 35mila euro è costato 3 miliardi). Considerato che la stabilizzazione dell'assegno unico per i figli, indicato tra le priorità, costa circa 3 miliardi, si spenderebbero in questo modo i 6 miliardi che sarebbero disponibili - sulla carta - per gli interventi fiscali.

La speranza del centrodestra di intervenire immediatamente sullo scalone Irpef del 38% che penalizza i redditi tra 28mila e 55mila euro rischierebbe così di essere vanificata.

L'intervento per addolcire il salto di aliquota di 11 punti percentuali, infatti, costerebbe circa 9 miliardi a regime, ma con 6-7 miliardi se ne può finanziare una prima fase. Anche se il ddl delega di riforma fiscale sarà portato in Consiglio dei ministri la prossima settimana, è improbabile che con i ballottaggi in corso si riesca a entrare nel merito delle singole questioni che saranno rinviate alla legge di Bilancio 2022 e al decreto collegato. In questa prima fase, tuttavia, è probabile che tutte le forze politiche cerchino di liberare per la manovra i 4,3 miliardi derivanti dal Fondo «taglia-tasse» alimentato dalla maggiore adesione ai singoli regimi fiscali (fondamentalmente una quota consistente del recupero dell'evasione).

In ogni caso, non è semplice trovare una quadratura del cerchio perché vi sono anche altre priorità indicate dalla stessa Nadef. A partire dalla riforma degli ammortizzatori sociali che, inizialmente, si concretizzerà in un rifinanziamento della Naspi prima che sia messo nero su bianco il nuovo regime universale di integrazione salariale per chi perde (o sta perdendo) il posto di lavoro. La riforma costa tra gli 8 e i 10 miliardi ma la metà potrebbe essere sufficiente per avviare il programma.

Tra fisco e sussidi di disoccupazione, tuttavia, si rischia di impegnare più della metà dei 22 miliardi di maggior deficit previsti dal governo per finanziare una manovra espansiva che consenta al Pil di proseguire nel trend di crescita dopo il collasso conseguente al Covid. E anche il dossier lavoro rischia di essere foriero di scontri politici giacché il centrodestra si batte per una modifica del reddito di cittadinanza nella parte relativa alle politiche attive.

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