Il faccia a faccia tra Joe Biden e Vladimir Putin è un bel rebus. Se Biden puntava sul G7 e sul summit Nato per tornare a guidare il cosiddetto Occidente, perché regalare al presidente russo un incontro che lo eleva a nemico di pari rango? E perché Putin accetta il confronto con chi lo definisce «assassino»? Per capirlo bisogna partire proprio da un'accusa giudicata, persino negli Stati Uniti, scomposta e azzardata. Quell'accusa è stata il segnale di un rapporto tra Mosca e Washington deragliato da tutti i binari diplomatici. Il deserto delle rispettive ambasciate - dalle quali da aprile, dopo l'ultimo round di sanzioni americane, sono stati richiamati i rappresentanti diplomatici - ne è la rappresentazione. Un simile salto nel buio non s'era visto nemmeno negli anni più bui della guerra fredda quando gli ambasciatori erano sempre rimasti garanzia di un seppur algido dialogo.
A questo s'aggiungono gli affondi messi a segno sia sui fronti di una guerra cibernetica capace di sovvertire risultati elettorali e produzioni industriale, sia all'intersezione delle rispettive aree d'influenza.
I movimenti di truppe russe intorno all'Ucraina, le navi americane nel mar Nero, ma anche mosse meno evidenti in Afghanistan, Siria e Libia e una silenziosa guerra navale, giocata nel cielo e negli abissi, spaziando dal Mediterraneo ai mari del Nord, sono lo scenario di uno scontro pericolosissimo perché privo di regole e canali di comunicazione.
Se nella guerra fredda qualsiasi confronto capace di trasformarsi in ingovernabile escalation prevedeva comunicazioni su canali predefiniti, oggi questo non c'è più. Questo rappresenta un rischio inaccettabile sia per un Biden entrato al Senato (1973) in piena guerra fredda, sia per un Putin protagonista di quello stesso scontro da dentro il Kgb.
Ridefinire dei codici di comportamento e comunicazione è dunque il primo obbiettivo di un summit organizzato in una Ginevra simbolo di neutralità e di trattative riservate. Ritrovare gli equilibri garantiti dalla deterrenza nucleare non è però facile. La guerra fredda comportava il rischio dell'olocausto nucleare, ma si giocava in un mondo bipolare e quindi sostanzialmente semplice perché ristretto a due parti consapevoli di non poter uscire indenni da un conflitto.
Nell'attuale mondo multipolare Russia e Stati Uniti, oltre a fare i conti con la Cina, si misurano con l'imprevedibilità di medie potenze in grado di sovvertire regole e alleanze. Lo dimostra l'ingovernabile caos creato da una Turchia di Erdogan alleata della Nato, ma capace di spiazzare gli Usa dal Caucaso alla Libia, passando per Siria e Mediterraneo, giocando il duplice ruolo di avversario e miglior interlocutore della Russia.
Solo definendo regole capaci di fermare l'imprevedibilità di attori come
Erdogan, l'America potrà concentrarsi nello scontro con il grande nemico cinese. Solo sottoscrivendo quelle regole, Mosca potrà ritrovare un dialogo con Europa e Usa ed evitare l'abbraccio con una Cina capace di soffocarla.
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