Il nuovo orale è una scuola di assurdità: argomenti mai studiati e nessuna domanda
21 Giugno 2019 - 08:44La riforma e il paradosso del colloquio. Con l'incognita delle buste da quiz tv

Tra le polpette avvelenate lasciate in eredità da Renzi al governo attuale, oltre agli opachi, per non dire fangosi, rapporti con la magistratura, all'impunità per i banchieri amici e al controllo pressoché totale dei grandi mezzi di comunicazione, c'è anche la riforma della scuola, che, inspiegabilmente, è stata accettata e supinamente portata a compimento dall'attuale Ministro («per mancanza di prove», direbbe Dagospia).
Dopo aver così costretto i docenti del biennio a una mission davvero impossible, i funzionari di viale Trastevere, con ammirevole equanimità, hanno deciso di rendere la vita impraticabile anche a quelli dell'ultimo anno delle superiori (in burocratese: «Scuola secondaria di secondo grado») dove purtroppo è entrato in vigore il nuovo esame di stato (in italiano: la prova di maturità).
Evitiamo di commentare l'abolizione della Terza prova scritta e concentriamoci sulle novità dell'esame orale, che non prevede più l'avvio con una tesina a scelta, cui seguivano le interrogazioni nelle varie materie, ma è diviso in quattro parti, con le interrogazioni totalmente abolite.
Nella prima fase, lo studente ci intratterrà sulla sua esperienza relativa all'alternanza scuola-lavoro, altra nefasta eredità renziana. Mi limito a osservare che alcuni miei studenti liceali dovranno ragguagliarci sull'importanza di aver piegato biancheria in una nota catena specializzata nell'intimo. Poi, ascolteremo i candidati esprimersi su una materia non prevista, e quindi non studiata, quale «Cittadinanza e costituzione» e, prima di concludere commentando l'esito delle prove scritte, si esibiranno nel pezzo forte dell'orale, il cosiddetto colloquio.
Ora, parlare del colloquio come di «esame» è davvero una parola grossa, dato che, etimologicamente, deriva da exigere , cioè pesare, i cui sinonimi sono «verifica», «analisi» e «valutazione», tutte cose esplicitamente proibite dagli ineffabili burocrati del Miur. So che sembra impossibile - lo sembrava anche a me e a tutti i miei colleghi impegnati a decrittare le norme fumose emanate dai suddetti funzionari - ma è proprio così: le Indicazioni operative relative al colloquio sottolineano, infatti, nella nota DPIT prot. 788 del 6 maggio 2019 che:
«Il colloquio di esame non vuole sostituirsi o, peggio, (sottolineatura mia) costituire una riproposizione (impoverita nei tempi e negli strumenti) delle verifiche disciplinari che ciascun consiglio di classe ha effettuato nell'ambito del percorso formativo () e ha, invece, la finalità di sviluppare una interlocuzione coerente con il profilo di uscita, non perdendo di vista, anzi valorizzando, i nuclei fondanti delle discipline, i cui contenuti rappresentano la base fondamentale per l'acquisizione di saperi e competenze».
Traduzione: i commissari non possono interrogare, ma devono limitarsi ad ascoltare o a «condurre il colloquio»- per una durata, definita ottimale, «di 50-60 minuti». E veniamo al bello, ovvero al contenuto del colloquio: secondo l'art. 2, comma 1 (DM 37/2019) «la commissione propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi per verificare l'acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, nonché la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e metterle in relazione per argomentare in maniera critica e personale, utilizzando anche la lingua straniera». Il tutto a partire dal sorteggio di una busta, preparata dalla commissione, contenente «un'immagine, un breve testo, un grafico» o qualsiasi altra cosa, purché estranea ai programmi svolti a scuola. Ho personalmente dovuto buttare via tutte le citazioni da poesie svolte o libri letti durante l'anno che avevo preparato per i miei studenti, perché «noti ai candidati».
Pregasi notare l'assurdità degna di Comma 22: lo studente si prepara durante l'anno su dei contenuti che non potrà esporre all'esame finale, sottoponendosi a delle interrogazioni che saranno proibite alla maturità A scanso di equivoci, il Ministero si premura di sottolineare che la busta NON deve contenere nemmeno «domande, serie di domande, argomenti, riferimenti a discipline» e che noi docenti dobbiamo ricordare SEMPRE che trattasi di «colloquio, non di una somma di interrogazioni». Sorge spontanea la domanda: ma cosa è servito, dunque, preparare gli studenti per circa tredici anni a sostenere interrogazioni, se poi l'esame finale non prevede questa modalità?
E come faranno gli eventuali studenti universitari a sostenere un esame, se saranno stati abituati a colloquiare di argomenti mai studiati, partendo da «materiali» sconosciuti? Ai funzionari ministeriali l'ardua risposta.
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