Cronache

Il nuovo orale è una scuola di assurdità: argomenti mai studiati e nessuna domanda

La riforma e il paradosso del colloquio. Con l'incognita delle buste da quiz tv

Il nuovo orale è una scuola di assurdità:  argomenti mai studiati e nessuna domanda

Tra le polpette avvelenate lasciate in eredità da Renzi al governo attuale, oltre agli opachi, per non dire fangosi, rapporti con la magistratura, all'impunità per i banchieri amici e al controllo pressoché totale dei grandi mezzi di comunicazione, c'è anche la riforma della scuola, che, inspiegabilmente, è stata accettata e supinamente portata a compimento dall'attuale Ministro («per mancanza di prove», direbbe Dagospia).

Dopo aver così costretto i docenti del biennio a una mission davvero impossible, i funzionari di viale Trastevere, con ammirevole equanimità, hanno deciso di rendere la vita impraticabile anche a quelli dell'ultimo anno delle superiori (in burocratese: «Scuola secondaria di secondo grado») dove purtroppo è entrato in vigore il nuovo esame di stato (in italiano: la prova di maturità).

Evitiamo di commentare l'abolizione della Terza prova scritta e concentriamoci sulle novità dell'esame orale, che non prevede più l'avvio con una tesina a scelta, cui seguivano le interrogazioni nelle varie materie, ma è diviso in quattro parti, con le interrogazioni totalmente abolite.

Nella prima fase, lo studente ci intratterrà sulla sua esperienza relativa all'alternanza scuola-lavoro, altra nefasta eredità renziana. Mi limito a osservare che alcuni miei studenti liceali dovranno ragguagliarci sull'importanza di aver piegato biancheria in una nota catena specializzata nell'intimo. Poi, ascolteremo i candidati esprimersi su una materia non prevista, e quindi non studiata, quale «Cittadinanza e costituzione» e, prima di concludere commentando l'esito delle prove scritte, si esibiranno nel pezzo forte dell'orale, il cosiddetto colloquio.

Ora, parlare del colloquio come di «esame» è davvero una parola grossa, dato che, etimologicamente, deriva da exigere , cioè pesare, i cui sinonimi sono «verifica», «analisi» e «valutazione», tutte cose esplicitamente proibite dagli ineffabili burocrati del Miur. So che sembra impossibile - lo sembrava anche a me e a tutti i miei colleghi impegnati a decrittare le norme fumose emanate dai suddetti funzionari - ma è proprio così: le Indicazioni operative relative al colloquio sottolineano, infatti, nella nota DPIT prot. 788 del 6 maggio 2019 che:

«Il colloquio di esame non vuole sostituirsi o, peggio, (sottolineatura mia) costituire una riproposizione (impoverita nei tempi e negli strumenti) delle verifiche disciplinari che ciascun consiglio di classe ha effettuato nell'ambito del percorso formativo () e ha, invece, la finalità di sviluppare una interlocuzione coerente con il profilo di uscita, non perdendo di vista, anzi valorizzando, i nuclei fondanti delle discipline, i cui contenuti rappresentano la base fondamentale per l'acquisizione di saperi e competenze».

Traduzione: i commissari non possono interrogare, ma devono limitarsi ad ascoltare o a «condurre il colloquio»- per una durata, definita ottimale, «di 50-60 minuti». E veniamo al bello, ovvero al contenuto del colloquio: secondo l'art. 2, comma 1 (DM 37/2019) «la commissione propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti e problemi per verificare l'acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, nonché la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e metterle in relazione per argomentare in maniera critica e personale, utilizzando anche la lingua straniera». Il tutto a partire dal sorteggio di una busta, preparata dalla commissione, contenente «un'immagine, un breve testo, un grafico» o qualsiasi altra cosa, purché estranea ai programmi svolti a scuola. Ho personalmente dovuto buttare via tutte le citazioni da poesie svolte o libri letti durante l'anno che avevo preparato per i miei studenti, perché «noti ai candidati».

Pregasi notare l'assurdità degna di Comma 22: lo studente si prepara durante l'anno su dei contenuti che non potrà esporre all'esame finale, sottoponendosi a delle interrogazioni che saranno proibite alla maturità A scanso di equivoci, il Ministero si premura di sottolineare che la busta NON deve contenere nemmeno «domande, serie di domande, argomenti, riferimenti a discipline» e che noi docenti dobbiamo ricordare SEMPRE che trattasi di «colloquio, non di una somma di interrogazioni». Sorge spontanea la domanda: ma cosa è servito, dunque, preparare gli studenti per circa tredici anni a sostenere interrogazioni, se poi l'esame finale non prevede questa modalità?

E come faranno gli eventuali studenti universitari a sostenere un esame, se saranno stati abituati a colloquiare di argomenti mai studiati, partendo da «materiali» sconosciuti? Ai funzionari ministeriali l'ardua risposta.

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