Odio di classe da red carpet

Ocasio-Cortez al Met con la scritta sull'abito: "Tassare i ricchi"

Odio di classe da red carpet

Trentacinquemila euro di biglietto per avere un palcoscenico dal quale «urlare»: tassare i ricchi. Alexandria Cortez ha perso un Ocasio per tacere, o, quantomeno, per far tacere il suo vestito. Bianco, esploso di carni e scritto a lettere cubitali rosse come un muro preso di mira da un writers.

La deputata socialista di Bronx e Queens ha fatto il suo esordio sul tappeto rubino del Met Gala per testimoniare sdegno anticapitalista. Come se in Usa non avessero già scoperto da tempo che solo una tassazione «ragionevole» induce la gente, anche, soprattutto quella più «danaruta», a pagare la tasse, come se fosse un'idea originale e coerente quella di minare il «sistema» da dentro, mentre se ne fa parte, accaparrandosi un tavolo milionario. Stringendo mani, sfoggiando sorrisi, facendosi truccare da una visagista e acconciare da un parrucchiere professionista. Ma dissociandosi, rigorosamente, da tutto questo ciarpame milionario e inconsistente. Da tutta questa nebbiolina di lusso evanescente.

Alexandria Ocasio Cortez al mega evento benefico ci è andata, ma solo per contestare tutti quelli che c'erano, lo spirito stesso della manifestazione, l'intera serata. È andata a far spalancare gli occhi agli ottusi obnubilati dal lusso e dai dollari, cercando di portarli per mano verso la strada giusta, tentando disperatamente di educarli: un po' come Jane Goodall alle prese con i suoi scimpanzè. Che scoraggiante folla di spiritualmente anemici. Un gigantesco graffito tatuato sull'intonso bianco del vestito: tassare i ricchi. La vernice rossa e l'acida glassa dell'ostilità. Le spalle nude, qualche rigurgito di tulle e un briciolo di orrore osè, ma giusto quel che serviva per fare arrivare il messaggio.

«Tassare i ricchi», con questa formula verbale non coniugata, lasciata generica che non distribuisce responsabilità e non indica qualcuno in particolare. Questo modo di parlare all'infinito come una mamy di colore, per alzare l'accusa, senza affondarla. Ovviamente la scritta stava sul sedere. Volto presentabile, chiappe arrabbiate. Ma toccava osare, i tavoli del Met sono venduti a trecentomila dollari l'uno e in quelle stesse ore, i democratici stavano presentando il piano fiscale per finanziare le grandi riforme sociali e le infrastrutture. Ci sono tutte le telecamere del mondo, puntate sul Met, qualcuna avrebbe pur inquadrato il lato b della Cortez Specie con quei graffiti purpurei. E così è stato. «Ci vado ma contesto», «ci sono ma mi dissocio» una rivisitazione attiva del più blando e depresso Nanni Moretti di Ecce Bombo: «Mi si nota di più». «Ho da dire», ma taccio, per me parla il vestito, o il sedere. Una minaccia piena di benevolenza.

Un esserci, prendendo le distanze, un far parte, tirandosi indietro, un essere un tassello del sistema, scomunicando il sistema, un includere, rifiutando. D'altra parte si sa, l'ipocrisia è il miglior antidoto contro il caos. A partire da quello che si ha in testa. O sul vestito.

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