
Letizia Moratti, tra qualche giorno si celebreranno i dieci anni dall'apertura di Expo. Lei è stata la fautrice della vittoria di Milano su Smirne. Vorremmo ripercorrere le tappe che hanno portato a quella vittoria.
«Avevo inserito nel mio programma di candidatura a sindaco di Milano nel 2006 Expo perchè il segretario generale Ocse, Angel Gurrìa mi aveva consigliato di lavorare su un progetto bandiera per Milano di valenza nazionale. La scelta di Expo era frutto di uno studio commissionato alla Bocconi secondo cui, rispetto alle Olimpiadi o alle Universiadi, garantiva un maggiore impatto nel tempo».
Rispetto alle Olimpiadi Expo lascia un'eredità più duratura?
«Sì perchè le Olimpiadi hanno un lasso temporale molto più breve, così la parte preparatoria dell'esposizione dura almeno cinque anni, perchè bisogna cominciare a preparare il sito, le delegazioni arrivano sei mesi prima dell'evento per preparare e allestire i loro padiglioni».
C'era però da convincere il governo...
«Avevo fatto molta fatica perchè il presidente del consiglio di allora, Romano Prodi, aveva paura di una competizione con la Turchia, e di investimenti impegnativi. Per convincerlo avevo chiesto di andare con lui in missione a Shanghai, che si preparava a lanciare il suo Expo. Io ero andata tre giorni prima, nel settembre 2006: lì ho chiuso un accordo con Expo, con la fiera e con la città di Shanghai. Quando è arrivato Prodi ha trovato tre accordi chiusi e non ha potuto dire di no nonostante avesse messo Milano in concorrenza con Napoli, Torino e Trieste».
Quanto è durata la diplomazia internazionale?
«Un paio di anni: sono partita con il dossier di candidatura a settembre 2006, a ottobre il governo l'ha approvato, l'ho presentato al Bie a novembre, sono partita a novembre del 2006 e sono stata in tour fino al 31 marzo 2008, giorno del voto».
Un progetto in ogni paese: si ricorda qualche episodio significativo?
«Avevo avuto un grande sostegno dal mondo degli imprenditori, da Diana Bracco a Marco Tronchetti per Pirelli, da Squinzi con Mapei a mio marito. Avevo creato un comitato di imprenditori che mi avevano aiutato a finanziare i porgetti, poi c'era stato un grosso sostegno da parte del mondo bancario, dal mondo delle università e dal mondo scientifico».
Secondo punto?
«Grazie a questa diplomazia e al comitato delle donne avevo avuto suggerimenti preziosi sui progetti da presentare nei vari paesi del mondo per convincerli a votare per Milano».
Se ne ricorda qualcuno?
«In Niger avevamo lanciato un progetto per insegnare alle donne a trasformare il latte in yogurt creando una piccola fabbrica, in Togo avevamo fatto la stessa cosa insegnando a trasformare i pomodori in passata, in Mali un progetto per aiutare a prevenire l'Aids tra le donne in gravidanza, alle Maldive con la Bicocca avevamo lanciato uno studio sulla biodiversità, nelle isole pacifiche sulle problematiche legate all'innalzamento del mare».
Questi progetti sono rimasti in piedi?
«No, non sono stati più rifinanziati».
Il terzo punto della strategia vincente?
«Non mollare fino all'ultimo. Ho passato l'ultimo mese a Parigi perchè un conto è avere le note scritte dai presidenti e primi ministri, un conto il voto dei delegati che sono locali, ambasciatori presso l'Unesco, il Bie o di stanza a Parigi. Il voto è segreto, per cui ci poteva essere uno scarto tra i voti che sulla carta avevo e quelli che sarebbero stati i voti effettivi».
Tutti ci ricordiamo l'entusiasmo straordinario al momento della aggiudicazione
«Sì, anche perchè il segretario del Bie non era proprio a nostro favore. Devo dire che il presidente Prodi dopo che avevamo concordato di concorrere per Expo, è sempre stato molto collaborativo, come i suoi ministri: siamo riusciti a costruire una bella diplomazia con un gioco di squadra bipartisan veramente straordinario».
Qualche altro escamotage?
«Ciò che è mancato totalmente quando abbiamo perso Ema, e stato l'attenzione ai Paesi islamici. La prima visita istituzionale che feci fu nei paesi del Golfo, dalla mia amica sceicca del Qatar».
Come aveva fatto a convincere gli altri Paesi?
«Facendo leva sui rapporti che avevo costruito come ministro: con il Giappone avevo fatto leva sul fatto che ero fondatrice del forum scientifico mondiale giapponese, ero andata a parlare con il presidente Chirac perchè avevo sostenuto la Francia nell'assegnazione del progetto di fusione nucleare Iter, che non avrebbe avuto senza il sostegno italiano. Avevo sfruttato in qualche modo l'eredità di porgetti che avevo sviluppato negli anni».
Qual è il lascito?
«Avevo messo nel dossier di candidatura tutte le infrastrutture che poi sono state realizzate come Tem, Brebemi, Pedemontana e le due linee della metro 4 e 5. Il grosso del lascito Expo è stato l'impatto economico complessivo 2015/2025: la produzione aggiuntiva nazionale è stata di 31,6 miliardi pari all'1% della produzione nazionale e l'occupazione generata a livello nazionale di circa 242mila unità lavorative equivalenti annue. L'altro grande lascito è stato il turismo perchè nel 2014 a Milano si erano registrati 6,8 milioni di arrivi, nel 2015 9,1 milioni, che sono rimasti stabili, a parte il calo durante la pandemia, arrivando nel 2024 a 9,5 milioni».
Poi ci sono una serie di accordi e protocolli che fanno parte dell'eredità di Expo come la Carta di Milano, il protocollo sulla sicurezza sul lavoro con i sindacati e il protocollo contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nei cantieri....
«Si certo, oltre al fatto che non abbiamo avuto nessun morto sui cantieri. Così la Carta sull'alimentazione sana. Il tema di Expo che avevo scelto è ancora attuale adesso: c'erano la nutrizione e l'energia. È stato un lavoro molto di contenuto».
Diverso invece il destino del sito, che cambiò rispetto al dossier.
«La mia proposta era di lasciare il 50% del sito a verde e di creare un centro per lo sviluppo sostenibile in rete con tutti gli altri centri che saremmo andati a sostenere nel mondo. Purtroppo questo concetto non è stato capito e il progetto è cambiato in corsa con il sindaco Pisapia».
Nel 2011 perde le elezioni, in pieno work in progress...
«Sì e mi dimisi dall'incarico di commissario straordinario Expo, che mi era stato conferito dall'allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi come carica slegata da quella di sindaco».
Il gioco della politica prevede anche che il giorno dell'inaugurazione lei fosse tra il pubblico, presidente del consiglio era Matteo Renzi.
«Per la verità non ero stata invitata all'inaugurazione, ma quando lo dissi al ministro Martina, con cui mi stavo confrontando sull'Africa per la mia fondazione, mi fece arrivare un invito a nome del governo. Credo sia per quello che Renzi mi ha ringraziato all'inaugurazione. Piccolo particolare: mi avevano messo in 64esima fila laterale quindi quando sono stata citata da Renzi, tutti hanno cominciato a guardarsi attorno per vedere dov'ero e io mi sono dovuta alzare per far vedere che c'ero».
Da lì il decollo di Milano come grande metropoli internazionale...
«La vera eredità è che è cresciuto il numero di multinazionali che hanno scelto di venire a Milano, pari a 2mila, il 45% del totale presente in Italia, gli investimenti che nel 2022 hanno raggiunto i 5,2 miliardi di euro (il 44,4% del totale) nazionale. Negli ultimi dieci anni, in media il 55% dei capitali investiti in città proviene da fonti straniere, una percentuale tra le più elevate in Europa. Così sono cresciuti anche gli studenti dall'estero: nel 2022/23 erano iscritti 17.166 studenti internazionali, par al 7,4% del totale, ovvero il 9,6% rispetto all'anno precedente».
Milano ha iniziato a ospitare eventi mondiali, dopo Expo ora le Olimpiadi.
«Merito anche delle infrastrutture realizzate: ormai Milano è attrezzata».
Come vede queste Olimpiadi?
«Mi auguro che siano un grande successo per tutto il Paese».
Cosa aggiungeranno rispetto a quanto ha già portato Expo?
«È un evento decisamente diverso, non è paragonabile».
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