Valeria Robecco
New York Nessun ammutinamento e nessuna crisi di coscienza: Donald Trump ha superato brillantemente anche l'ultimo test elettorale con la conferma dell'esito delle urne da parte dei collegi elettorali nei 50 Stati Usa, e si prepara a giurare il prossimo 20 gennaio come 45° presidente americano. Nonostante le pressioni dei democratici affinché i delegati abbandonassero il tycoon, 304 grandi elettori hanno dato il proprio voto al presidente in pectore, un numero ampiamente superiore ai 270 necessari per la conquista della Casa Bianca, mentre 227 si sono espressi per Hillary Clinton.
E in realtà, se di rivolta si vuole parlare, a farne le spese è stata proprio la già sconfitta ex first lady. Dei sette elettori infedeli, che non hanno rispettato il responso del proprio Stato, cinque hanno tradito Hillary (quattro nello Stato di Washington e uno alle Hawaii) e solo due Trump (entrambi in Texas). Il risultato sarà proclamato ufficialmente in Congresso il 6 gennaio, ma The Donald può già festeggiare e prepararsi per l'ingresso a Pennsylvania Avenue: «È una vittoria storica e schiacciante nella democrazia del nostro paese - ha commentato il re del mattone - questa elezione rappresenta un movimento in cui milioni di donne e uomini hanno creduto, e che hanno reso possibile». Anche il futuro vice presidente Mike Pence è stato confermato senza intoppi.
Normalmente la procedura di ratifica da parte dei 538 grandi elettori costituisce poco più di una formalità, ma la vittoria di Trump, che ha perso il voto popolare ma ha ottenuto un netto vantaggio tra i grandi elettori, ha acceso i riflettori sui collegi. E a far crescere l'attenzione hanno contribuito anche le conclusioni degli 007 Usa sulla presunta interferenza della Russia, che hanno gettato un'ombra sull'elezione del tycoon. Nonostante l'appello alla rivolta lanciato dai democratici, tuttavia, il voto di conferma si è svolto senza sorprese. Vano è stato anche l'ultimo tentativo portato avanti dal regista liberal Michael Moore, che ha proposto di pagare di tasca sua le multe emesse dagli stati agli elettori «infedeli».
Dopo aver superato l'ultimo test il Commander in Chief eletto può pensare alle celebrazioni per il suo insediamento, alle quali non parteciperà però il tenore italiano Andrea Bocelli, di cui Trump è un grande sostenitore. A convincerlo a fare un passo indietro sarebbe stata l'ira dei fan: alcune fonti hanno riferito al New York Post che Bocelli ha deciso di non esibirsi perché «la situazione si stava animando troppo». Nei giorni scorsi, dopo che si è diffusa la notizia di una sua possibile esibizione a Washington il 20 gennaio, i suoi fan sono insorti minacciando di boicottarlo e lanciando l'hashtag #BoycottBocelli. «Secondo il tycoon, Bocelli non canterà a causa del contraccolpo della notizia», hanno spiegato le fonti.
Intanto la presidenza diventa sempre più un business per la «Trump family»: dopo l'asta per un caffè con Ivanka Trump, cancellata la settimana scorsa a causa delle polemiche di carattere etico, ora emerge che una fondazione no profit texana, guidata dai due figli del tycoon Eric e Donald Jr, offre un accesso privilegiato per il 21 gennaio, giorno successivo all'Inauguration Day, per chi è disposto a staccare generosi assegni da donare a non
specificati enti di beneficenza. Le donazioni vanno da 25 mila dollari a un milione: in quest'ultimo caso il «pacchetto» prevede un incontro privato con Trump e la possibilità di lasciarsi immortalare in alcune foto con lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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