nostro inviato a Viareggio (LU)
La scorsa settimana si è verificato l'ultimo episodio. A Forte dei Marmi è stato incendiato un rivenditore di biciclette. «Non ho idea di chi possa essere stato», le dichiarazioni del titolare agli inquirenti. Parole che ben si attagliano a un commerciante di Caserta o di Reggio Calabria che avesse subito un analogo danno, ma qui siamo un po' più a Nord e il fatto può suonare strano a uno che non sia del luogo.
La Versilia, infatti, è diventato il crocevia della criminalità organizzata del nostro Paese. Ad aprire il terreno è stata la camorra per via dei soggiorni obbligati che hanno dirottato alcuni capoclan da queste parti, poi è stata la volta della 'ndrangheta, della mafia e addirittura della Sacra corona unita. Sono questioni che l'ex capo della Dna, Piero Luigi Vigna, ha denunciato fino alla sua morte, ma le priorità dell'attività di indagine si sono concentrate altrove. «È una battaglia molto difficile: da un lato le organizzazioni criminali sono diventate estremamente abili nell'intestazione fittizia di attività commerciali, dall'altro lato le Procure locali non sempre sono state efficientissime negli anni scorsi», spiega una fonte investigativa.
Da un anno il vento è un po' cambiato perché a capo della Procura di Firenze c'è Giuseppe Creazzo, che si è «fatto le ossa» a Palmi. A fine luglio, proprio a Viareggio, sono stati arrestati tre esponenti camorristici attraverso un'operazione congiunta con il Nucleo di polizia tributaria della Finanza: avevano accumulato a v+Viareggio ben 4 attività (commercio di oro, edilizia e due centri estetici) e disponevano di 11 immobili e venti autovetture di lusso a Lucca e in Versilia. Solo qualche mese fa l'ex calciatore Alessandro Pierini è riuscito ad aggiudicarsi lo storico locale Fappani, sequestrato dopo l'ennesima retata anticamorra.
Un anno sì e l'altro pure la Dda di Reggio Calabria, guidata da Nicola Gratteri, effettua maxisequestri da queste parti ai danni della cosca Piromalli. Ma per un controllo incrociato delle dichiarazioni dei redditi che va a buon fine, ce ne sono molti altri che falliscono proprio l'esperienza ormai acquisita nel mascherare le attività finalizzate al riciclaggio, un campo nel quale i mafiosi siciliani sono molto specializzati. Hanno destato molti sospetti alcune operazioni nel settore alberghiero effettuate negli anni recenti a Pisa e in Versilia, ma finora magistratura e forze dell'ordine non hanno trovato elementi utili ad appurare eventuali collegamenti.
Il problema è che le mafie hanno esportato in queste località turistiche anche il loro core business: estorsione, usura e spaccio di stupefacenti. Il settore della cantieristica per la nautica da diporto è stato uno dei primi a essere messo otto pressione. Alle organizzazioni criminali estere, per il momento, sono stati appaltati gli altri affari: i cinesi controllano il business degli oggetti contraffatti e hanno rilevato molti banchi del mercato storico viareggino, ad esempio. La situazione in Versilia non è grave come quella di Prato dove la Triade cinese si è ormai radicata e ha un giro d'affari stimato in ben 4 miliardi di euro. Il racket della prostituzione, invece, è in mano a esponenti africani e dell'Est Europa. Gli albanesi operano in tutti i settori lasciati «liberi». «Avremmo bisogno di più mezzi, di migliori dotazioni, di maggiori rinforzi e anche di più investigatori», dice Paolo Biagini, ispettore di polizia ed esponente del sindacato Sap, da tempo impegnato nella lotta alla criminalità come nel caso della sparatoria di Camaiore.
Mentre i turisti ignari si divertono, le organizzazioni prendono sempre più piede nel controllo del territorio.
Aggressioni, incendi, intimidazioni potrebbero ben presto convincere i versiliani che l'omertà sia il modo migliore per tenersi lontani dai guai. E a quel punto lo Stato avrebbe perso completamente la sfida della legalità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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