Le Ong si mobilitano contro il decreto "Ora non votatelo"

Ma l'attacco al governo non trova sponde nell'Ue: "Non giudichiamo i contenuti"

Le Ong si mobilitano contro il decreto "Ora non votatelo"

Sarà l'ansia da prestazione, o forse il timore di multe salate se non si onora il decreto in vigore dal 3 gennaio. Ma ecco le Ong riprendere l'attacco al governo, sfruttando l'immigrazione come arma: tornando a far politica a mezzo stampa. In un comunicato congiunto, varie sigle che si occupano di soccorso in mare chiedono infatti «a tutti i membri del Parlamento italiano di opporsi al decreto (quello varato dall'esecutivo Meloni e firmato dal presidente Mattarella, che vieta tra le altre cose i soccorsi multipli, ndr), impedendone la conversione in legge».

Il comunicato anti-regolamentazione lo firmano Emergency, Iuventa Crew, Medici senza frontiere, Mare Liberum, Open Arms e Sea-Whatch. E cioè alcune protagoniste delle recenti sfide alle leggi italiane; perlopiù con esponenti di centrodestra al governo. Basti pensare al braccio di ferro 2018-2019 con l'allora titolare dell'Interno Matteo Salvini.

La realtà è che il nuovo testo cerca di evitare il Far West degli ultimi anni, e che le regole mandano in affanno le Ong (che ora devono guardare pure al portafoglio: se intendono sfidare le nuove disposizioni rischiano fino a 50mila euro di sanzione e il sequestro dell'imbarcazione). «Esortiamo il governo a ritirare immediatamente il decreto», insistono. E se non bastasse l'invito al boicottaggio rivolto ai parlamentari, basta continuare a leggere il loro j'accuse per cogliere il senso della nuova «crociata» in difesa dello status quo ante: che poco ha a che fare col salvare vite nel Mediterraneo, visti i più di 2 mila sbarchi nei primi cinque giorni dell'anno. Le Ong dicono che «il vero prezzo (del decreto) sarà pagato dalle persone che fuggono», che «ridurrà le capacità di soccorso e renderà ancor più pericolosa una delle rotte più letali al mondo». Sostanzialmente si dà a Meloni & co quasi degli assassini. Poi l'appello ai Trattati: «Il decreto italiano contraddice il diritto marittimo internazionale e il diritto europeo e dovrebbe suscitare una forte reazione da parte della Commissione europea, del Parlamento europeo e degli Stati membri». Peccato che l'Ue non cada nel tranello. Non spetta infatti all'Ue «guardare nello specifico il contenuto di questo decreto», fa sapere la portavoce della Commissione Anitta Hipper, anche se, aggiunge, «salvare vite in mare è un obbligo morale e un dovere legale».

L'Italia certo non nega i salvataggi. Anzi, per facilitare le procedure, prevede un primo screening dei richiedenti asilo a bordo delle navi, responsabilizzando le Ong. Su questo, la portavoce della Commissione ricorda che possono infatti chiedere asilo «i cittadini di Paesi terzi nel territorio degli Stati membri», spazio «marino» compreso, e che «non sta a noi guardare nello specifico questo decreto», perché «siamo sempre in contatto con le autorità italiane». Un commento sgusciante, che lascia trapelare una certa irritazione per la levata di scudi delle Ong.

Il dossier migratorio resta caldissimo. E se gli sherpa dei 27 sono al lavoro per evitare altre crisi diplomatiche - in vista del Consiglio straordinario del 9 e 10 febbraio a Bruxelles - le Ong sembrano volersi sostituire ai governi, denunciando «l'ultimo tentativo di ostacolare l'assistenza». Poi, l'ennesimo j'accuse: «Dal 2014, le navi civili stanno riempiendo il vuoto che hanno lasciato gli Stati con l'interruzione delle operazioni Sar».

Bene, bravi, bis. Ma d'ora in poi ci si coordina con le autorità. Per avere un porto da raggiungere. E al primo salvataggio. Senza diventare un fattore di attrazione, stazionando a oltranza a poche miglia dagli scafisti.

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