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Opa del Sultano su Libia e gas. Italia ferma, il governo guarda

Erdogan: «Pronto a inviare truppe in sostegno di Tripoli» Terza nave per le perforazioni. La Grecia schiera i caccia

Opa del Sultano su Libia e gas. Italia ferma, il governo guarda

Un secolo e mezzo fa la Turchia era il grande malato d'Europa. Oggi il suo nuovo Sultano la sta trasformando nel grande mascalzone del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ma la Turchia di Recep Tayyp Erdogan rischia grosso. Le spallate tirate in Libia e nel Mediterraneo rischiano d'innescare le reazione di nemici ben più decisi dell'Italia e dell'imbelle Unione europea. Il trattato marittimo stipulato con la Libia di Fayez Al Serraj in base al quale Ankara e Tripoli s'attribuiscono una giurisdizione esclusiva su gran parte del Mediterraneo sud orientale, sta mettendo in allarme non solo la Grecia, ma anche Israele. L'interventismo turco sul fronte libico, confermato da un Erdogan che si dice pronto a inviare i propri soldati a fermare l'avanzata su Tripoli del generale Khalifa Haftar, sta invece allertando il Cremlino e gli altri alleati dell'uomo forte della Cirenaica tra cui Egitto ed Emirati Arabi.

In tutto questo la posizione più a rischio è quella dell'Italia. L'influenza esercitata un tempo sul governo di Serraj è ormai completamente sovrastata e annullata da quella ben più energica di una Turchia che dopo aver inviato ingenti quantitativi di armamenti agli alleati di Tripoli si prepara a entrare direttamente nel conflitto. «Se la Libia ce lo chiedesse, saremmo pronti a mandare tutte le truppe di cui ci fosse bisogno» ha promesso Erdogan in un discorso all'università Bilkent di Ankara. Ma la Turchia minaccia anche gli interessi dell'Eni impegnata nella ricerca di gas davanti Cipro. Non a caso ieri mattina il premier Giuseppe Conte ha convocato a Palazzo Chigi i ministri degli Esteri Luigi Di Maio, della Difesa Lorenzo Guerini e dell'Interno Luciana Lamorgese per un vertice sulla situazione in Libia e nel Mediterraneo. Il trattato turco-libico che ignora la presenza di Cipro, di Creta e dell'arcipelago del Dodecanneso riduce l'antico Mare Nostrum in una sorta di zona esclusiva sottoposta all'egemonia di Ankara.

Questa situazione rischia di portare la Grecia allo scontro aperto. Ieri Atene ha inviato i suoi Mirage a seguire le mosse di una fregata turca nell'Egeo. Nel frattempo la Turchia ha affittato una nave da ricerca norvegese da affiancare ad altre due unità già impegnate nella ricerca di gas naturale in quella parte del Mediterraneo su cui Nicosia rivendica una zona economica esclusiva. Per contro Ankara, oltre a citare il trattato marittimo firmato con Tripoli, giustifica la propria intrusione con la necessità di difendere gli interessi della cosiddetta Repubblica settentrionale di Cipro, occupata dalle sue truppe nel 1974. Proprio per questo la Grecia intende chiedere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu la condanna dell'accordo turco libico.

L'Europa chiamata a difendere non solo Grecia e Cipro, ma anche le aziende come l'Eni impegnate nelle prospezioni per conto di Nicosia resta invece latitante. Lunedì i ministri degli Esteri della Ue riuniti a Bruxelles, hanno deciso, come spiegato dall'Alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell, di seguire con attenzione le mosse della Turchia senza però arrivare all'imposizione di sanzioni. Ma altri Paesi potrebbero intervenire con molta più decisione. Israele, titolare di intese con Grecia e Cipro per la ricerca di gas nel tratto del Mediterraneo coperto dal contestato accordo turco-libico avrebbe, secondo il quotidiano The New Arab, già inviato esperti del Mossad e uomini delle forze speciali ad addestrare le truppe di Haftar al combattimento urbano.

La battaglia finale per il controllo di Tripoli potrebbe dunque esser assai vicina.

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