Pare che alla Rgm di Genova, azienda metalmeccanica specializzata nella conversione di energia, quell'operaio fosse diventato una sorta di leggenda. Non tutti i lavoratori hanno gli stessi ritmi: c'è chi viaggia a cento all'ora, chi ogni tanto deve prendere il fiato. Ma E.A. era un caso a parte: una lentezza straordinaria, un ritmo tutto suo nell'eseguire il lavoro. Prima erano partiti i rimbrotti orali, i richiami. Niente da fare. A quel punto l'azienda era passata alle raccomandate. Per tre volte, a partire dal 2011, erano scattati i procedimenti disciplinari: sospensioni dal lavoro. Ancora niente da fare. Il 3 dicembre 2013, ben sapendo di andarsi a infilare in un ginepraio, dall'azienda era partita la sanzione estrema: licenziamento per giusta causa, punizione prevista e punita persino dallo Statuto dei Lavoratori e dal contratto nazionale di lavoro per la «voluta negligenza e lentezza nell'esecuzione del lavoro». Ricorso immediato dell'operaio, sostenuto dal sindacato, al giudice del lavoro. Ma ora, dopo cinque anni di carte bollate, la Rgm si vede dare ragione. Ognuno produce al ritmo che può: ma esiste un limite, un minimo di produttività sotto il quale il lavoro non è più tale. In questi casi, il padrone ha diritto di licenziare.
La sentenza della Cassazione risale al 17 aprile scorso ma le motivazioni sono state depositate solo pochi giorni fa. Portano la firma di Elena Boghetitch, un giudice che già quando era in servizio al tribunale di Roma non aveva esitato a mettersi contro la Fiom. Nella sentenza, la Cassazione conferma il licenziamento di E.A. deciso l'anno scorso dalla Corte d'appello di Genova, e condanna oltretutto l'operaio a pagare 4mila euro di spese legali all'azienda. Le motivazioni ricordano che la lettera di licenziamento del dicembre 2013 contestava all'operaio il fatto di «aver impiegato più di 3,5 ore di tempo per eseguire una lavorazione che un operaio con esperienza analoga avrebbe eseguito in poco più di mezz'ora». E che nei mesi precedenti già per tre volte (a gennaio 2011 e poi, una dopo l'altra, il 16 e il 30 settembre 2013) l'operaio era stato sospeso dal lavoro a causa della esasperante lentezza con cui eseguiva gli ordini. I tre provvedimenti di sospensione erano stati ritenuti «validi ed efficaci» dalla Corte d'appello del capoluogo ligure.
Licenziamento che non fa una grinza, stabilisce la Cassazione. Nel ricorso contro la decisione dei giudici genovesi, d'altronde, i legali di E.A. si erano appellati più che altro a questioni procedurali, nonché al metodo impiegato dall'azienda per rilevare i tempi di produzione dell'operaio, che secondo la difesa violavano il divieto di controllo a distanza dei dipendenti previsto dallo Statuto dei lavoratori.
Ma la Cassazione ritiene che, trattandosi di un semplice codice a barre, lo Statuto non vieta «l'installazione di impianti di controllo posti per esigenze produttive dai quali non risulti compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori».
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