Ma adesso Mario vi voglio tra i garanti. Vi voglio in prima fila, accanto a noi. Al telefono da Kiev, con la voce tesa e senza giri di parole, Volodymyr Zelensky ringrazia l'Italia per l'appoggio politico, per gli aiuti umanitari, pure per le armi. «La mia gente ricorderà a lungo quanto state facendo». Ora però, dice, dovete entrare nel gruppo dei Paesi che si occuperà della nostra sicurezza territoriale. E Draghi accetta subito. Il premier assicura infatti il «forte sostegno alle autorità e al popolo dell'Ucraina» e offre «piena disponibilità a contribuire all'azione internazionale», magari anche partecipando, se nascerà, all'U24, l'iniziativa di pronto intervento sotto la bandiera Onu da far scattare in caso di aggressione. Roma all'inizio non era prevista, scontava il filoputinismo dei precedenti governi. Eravamo stati persino esclusi dalle teleconferenze con Washington, Parigi, Berlino e Londra: ora forse torniamo ad avere un ruolo più centrale.
Una telefonata cordiale, da «alleati». Zelensky è accorato quando racconta a Draghi quanto la situazione sta precipitando. Noi siamo con voi, risponde il premier che, come riferisce Palazzo Chigi, «ribadisce» il sostegno totale a tutto campo. La linea di Roma, oltre ad aiutare materialmente Kiev, è quella di impegnare la comunità internazionale «per porre fine al conflitto e promuovere una soluzione durevole della crisi ucraina». In questo quadro la diplomazia italiana lavora a un contatto telefonico Draghi-Putin.
Alla fine del colloquio Zelensky ringrazia l'Italia «per la disponibilità a unirsi alla creazione di un sistema di garanzie di sicurezza per l'Ucraina». Si chiama United for Peace e dovrebbero farne parte i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, più Germania, Canada e Turchia. Ora pure l'Italia. «Sono contento di vedervi in questo elenco», commenta Yaroslav Melnyk, ambasciatore ucraino a Roma. Entrare tra i garanti sarebbe il riconoscimento del ruolo importante del nostro Paese.
Sono settimane che Draghi, per cancellare i dubbi delle altre cancellerie occidentali, è costretto ad attaccare con durezza lo zar Vladimir. Bisognava recuperare la fiducia degli Stati Uniti dopo le sbandate dei precedenti esecutivi, giudicati troppo amici di Mosca, e dopo la prudenza iniziale sulle sanzioni, vista la nostra dipendenza dal gas russo. Adesso però il governo è alla ricerca di fonti alternative e sembra aver ricucito con gli alleati atlantici, come dimostrano anche gli attacchi del Cremlino al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e le minacce più o meno velate ai parlamentari delle commissioni Esteri.
Qualche perplessità generale resta, basta pensare al caso-Conte e alla dura ostilità dei Cinque stelle alla proposta di aumentare al due per cento del Pil le spese militari. Oggi Draghi vedrà Giuseppe Conte e capirà se c'è spazio per un accordo prima del voto sulla risoluzione per l'Ucraina, prevista entro giovedì. «Il buon senso» che l'ex presidente del Consiglio ha chiesto a Draghi è lo stesso che Palazzo Chigi si aspetta dalla sua turbolenta maggioranza. In ogni caso andrà avanti: nessuno ha la voglia e là forza di aprire la crisi sull'Ucraina o sulle armi.
Visti dalla prospettiva di Palazzo Chigi si tratta comunque di episodi circoscritti, di turbolenze non preoccupanti. All'estero sanno che dell'Italia ci si può fidare. Il perché lo spiega Sergio Mattarella in un discorso all'università di Trieste. «La pace è sempre doverosa e possibile.
Proprio per questo stiamo rispondendo con la dovuta solidarietà all'aggressione subita dall'Ucraina con l'accoglienza dei profughi, il sostegno concreto a chi resiste, con misure economiche». È il momento di tenere duro, «continuando a cercare soluzioni politiche non appena si aprissero spiegagli di disponibilità». Ma, secondo Zelensky, di spiragli non è proprio aria.
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