Opere d'arte sparite nel nulla. Così un chip le proteggerà

Il progetto in mano a un gruppo di esperti dopo il caso dei quadri Rai scomparsi. L'ombra del riciclaggio.

Come tutelare davvero le opere d'arte? Soprattutto quelle in mano allo Stato, di cui non si ha piena contezza? Se l'è chiesto un team che sta lavorando a un progetto, ancora in fase embrionale, che coinvolge esperti di arte, di comunicazione, di antiriciclaggio e di sicurezza, con il supporto del Poligrafico dello Stato che ha già dato la sua disponibilità, e che prevede la creazione di una sorta di bollino - reale e virtuale, sotto forma di Non fungible token - per tracciare l'opera d'arte, fare un registro delle transazioni e dei proprietari e fissarne un valore. La bozza della proposta di legge potrebbe essere presentata in Parlamento subito dopo la pausa estiva, anche se all'iniziativa potrebbe essere interessato anche un Paese europeo. «L'idea è frutto di una attenta analisi giuridico-operativa del fenomeno del riciclaggio di proventi illeciti e del finanziamento del terrorismo», dice al Giornale l'esperto di antiriciclaggio Giuseppe Miceli, ideatore e coordinatore del progetto. Nell'idea del pool di esperti si tratta di uno strumento tecnologico-digitale capace di agevolare gli operatori del mercato dell'Arte al corretto adempimento degli obblighi antiriciclaggio, una battaglia che vede in prima fila soggetti come Mef, Uif e Siae.

Basti pensare a quello che è successo alla Rai, dove negli ultimi anni sarebbero scomparsi diversi beni di inestimabile valore, tanto che come ha rivelato Dagospia il neo amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes ha licenziato Nicola Sinisi, l'ex direttore Canone e Beni artistici di area Pd che aveva di fatto ammesso le sue responsabilità nella vicenda durante una lunghissima deposizione in commissione di Vigilanza Rai. Chissà che quelle opere d'arte non siano finite in mano a compratori legati alla criminalità organizzata. Già, perché spesso dietro le migliaia di transazioni anonime anche in bitcoin con le quali ogni giorno decine di opere d'arte passano di mano si possono nascondere scambi di denaro legati a compravendite di stupefacenti. Si stima che il valore delle transazioni sul mercato delle opere d'arte nel corso del 2020 si sia assestato a 50,1 miliardi di dollari, come conferma Marco Comito, direttore generale della Fondazione Amedeo Modigliani che collabora al progetto e che da anni si batte per regolamentare la professione dell'art dealer.

Lo Stato nel frattempo non ci guadagna neppure un euro, anzi sfuggono al controllo anche i versamenti dei diritti di seguito connessi alle opere d'arte ex articolo 144 della 633. «Nonostante la crisi, la quantità e i valori delle transazioni nel mercato dell'arte hanno continuano a registrare un progressivo incremento - sottolinea Miceli - le mafie sembrano svilirlo a circuito alternativo per il trasferimento di enormi ricchezze sfruttando una maggiore facilità di utilizzo di strumenti di pagamento non tracciabili e approfittando della scarsa trasparenza di questo settore di mercato». Da qui l'idea di applicare un sistema di tracciabilità alle opere d'arte, mercato sul quale già gravano obblighi in materia di antiriciclaggio. L'idea funzionerebbe anche per i beni sequestrati alle mafie e di proprietà dello Stato, come ad esempio i 130 quadri sequestrati all'ex re dei videopoker di Reggio Calabria Gioacchino Campolo, recentemente scomparso. «Ci sono quadri di Dalì, Guttuso e Fontana - spiega al Giornale Alessandro Calabrò, che del patrimonio di Campolo è l'amministratore - già a disposizione della collettività grazie a una mostra permanente».

Poi c'è il tema del valore di un quadro o di una statua. Chi lo stabilisce? Il mercato, ovvio. «Ma è una valutazione totalmente specialistica, determinata in genere dalla filiera delle case d'aste in una logica di mercato dell'arte in cui il prezzo finale non è correlato al valore», spiega al Giornale Angela Pietrantoni, Ceo di Kelony®, la prima agenzia di Risk-Rating al mondo che sta lavorando al progetto - per capire il valore di un'opera d'arte potremmo, invece, chiederci: quanto vale un figlio? Questa domanda apparentemente assurda suggerisce una dimostrazione ab absurdum».

Già, perché come un figlio l'opera d'arte non ha un valore economico in sé «ma è la personificazione di un valore affettivo, emotivo, culturale, genetico e della capacità di trasmettere a sua volta questi valori - replica il presidente di Kelony® Genséric Cantournet, già responsabile della sicurezza di Telecom e Rai - e dunque il suo valore andrebbe calcolato stimando il Rischio (con la R maiuscola...) di perderlo. Un'opera d'arte è in grado di suscitare emozioni e ha dunque anche un valore soggettivo affettivo individuale e collettivo, non può essere ridotta a un cartellino con un prezzo».

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