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Oppositori in carcere e trame con l'Isis: ecco perché Erdogan è un vero dittatore

Ha accentrato i poteri con referendum del 2017. E ci ricatta a colpi di migranti

Oppositori in carcere e trame con l'Isis: ecco perché Erdogan è un vero dittatore

È vero. Inserire Recep Tayyp Erdogan fra i dittatori non è un'uscita astutamente politica. Ma Mario Draghi non è un politico. È un raffinato tecnocrate incaricato di salvare l'Italia da quei professionisti della politica distintisi nel mandarci in malora mentre vezzeggiavano il Sultano consentendogli di spadroneggiare nel Mediterraneo e minacciare i nostri interessi in Libia. Dunque ben venga la svolta.

Rompere con il passato e affibbiare a Erdogan la qualifica più consona può sconvolgere le consorterie politico economiche abituate alle peggiori ipocrisie pur di garantirci la qualifica di sesto partner commerciale di Ankara. Non turba certo un'opinione pubblica intenta a chiedersi perché a Erdogan sia concesso ricattarci a colpi di migranti, brigare con Isis e Al Qaida e sbattere in galera oppositori e giornalisti. «È l'economia bellezza», rispondevano fino a ieri i lobbisti nostrani indicando i 13,6 milioni di interscambio commerciale. Ma proprio quella risposta può aver innescato la svolta di un Draghi ben consapevole, dopo 8 anni alla Bce, di quanto sia azzardato scommettere su un'economia minata da un'inflazione al 15 per cento. Un'economia capace di travolgere il dittatore e lasciare con il cerino in mano i suoi discreti «amici» italiani. Ma a di là dell'economia contano i fatti. E sono quelli a dimostrare quanto già dimostrato da predecessori come Adolf Hitler o il venezuelano Hugo Chavez. Ovvero che la patente di democratici non si conquista solo ai seggi. Il primo a saperlo è Erdogan. «La democrazia è come un tram, quando arrivi alla fermata puoi scendere» spiegava nel 1996 quando era sindaco di Istanbul e ben lontano dal vincere le tre elezioni legislative e le due presidenziali con cui è arrivato all'attesa fermata.

Non a caso la distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, misura cardine di democrazia e stato di diritto, è sfumata dopo quel referendum costituzionale del 2017 che ha cancellato la figura del primo ministro, trasferito al presidente molti poteri esecutivi e sottoposto la magistratura al controllo della politica. E a minare l'equità di tribunali e magistrati s'aggiungono purghe, arresti e intimidazioni che colpiscono anche molti avvocati. Tra questi il gruppo di 14 legali, condannati con sentenza definitiva nel settembre 2020 dalla Cassazione turca, che comprendeva l'avvocata curda Ebru Timtik morta dietro le sbarre dopo i 238 giorni di sciopero della fame proclamato per chiedere un equo processo. Il tutto nel clima di parossistica e crescente repressione interna varata dopo il fallito golpe del 2016 attribuito ai sostenitori di Fetullah Gulen, il predicatore e politologo sunnita costretto all'esilio negli Usa dopo esser stato, fino al 2013, il grande alleato dello stesso Erdogan.

Stando a Human Right Watch nel giugno 2020 quasi 26mila persone erano in galera con l'accusa di aver militato nel movimento di Gulen, mentre oltre 58mila erano in attesa di giudizio e 132mila erano indagati. Cifre che si aggiungono a quelle degli 8.500 detenuti accusati di fiancheggiamento del Pkk, il partito armato curdo da sempre fuorilegge per terrorismo. Peccato che molti tra loro siano sostenitori o politici vicini al ben più innocuo Partito democratico del popolo (Hdp) che alle legislative del 2018 conquistò l'11,7 per cento dei voti e alle municipali del 2019 elesse 65 sindaci. Non a caso i suoi due leader Selahattin Demirta e Figen Yüksekda sono in galera dal 2016 e la sentenza del 2020 della Corte europea per i diritti umani che chiede l'immediata liberazione di Demirtas è, ad oggi, lettera morta. Ad oliare questa macchina repressiva contribuisce il sistematico controllo di televisioni, giornali e siti internet affidati a gruppi legati al partito di Erdogan. Un controllo che si trasforma in bavaglio e manette per chi sgarra. Lo sanno bene gli 87 giornalisti detenuti, a giugno dell'anno scorso, con accuse di connivenza con il terrorismo simili a quelle usate per imbavagliare l'opposizione politica.

Metodi che Erdogan sarebbe ben felice di poter usare anche per cancellare l'esplicita franchezza del nostro Mario Draghi.

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