Si è autoricoverato in una clinica dell'Arizona per sessodipendenti da 33mila euro al mese l'Arizona Harvey Weinstein, il produttore cinematografico trasformato in pochi giorni da re di Hollywood a principe della vergogna per le tante molestie sessuali di cui è accusato da stelle e stelline del cinema mondiale. «Sto andando a farmi aiutare», ha detto il corpulento produttore di 65 anni uscendo da casa della figlia in cui si era rifugiato. Esibendo un rimorso di facciata e una faccia tosta da record: «Tutti commettiamo degli errori, chiedo una seconda chance». Una frase che sarebbe accettabile in bocca a chi ha sbagliato una volta, non per un molestatore seriale che, come ha raccontato Léa Seydoux, «mi guardava come si guarda un pezzo di carne». L'attrice francese è solo una delle tante vittime dell'orco di Hollywood, assieme a Angelina Jolie, Cara Delevigne, Gwyneth Paltrow, Ross McGowan, Ashley Judd e all'italiana Asia Argento.
Tutti abbandonano il Weinstein che affonda, mentre prima lo onoravano come un ras. Lo abbandona la moglie, Georgina Chapman, 41 anni, stilista del jet set hollywoodiano, che se n'è andata per tutelare lei e i due figli di 7 e 4 anni. Lo abbandona il fratello Bob, con cui Harvey ha fondato l'impero, che secondo alcuni media britannici e statunitensi avrebbe consegnato al «New York Times» il dossier che ha raccontato almeno due decenni di abusi sessuali. Molla Winstein anche Hillary Clinton, tra i principali beneficiari delle frequenti donazioni del produttore ai Democratici: più di 1,4 milioni di dollari dal 1992 e tra questi anche 46.350 ai Clinton e alla loro comitato di azione politico. «C'era un lato diverso di una persona che io e molti altri conoscevamo», ha commentato la candidata alla presidenza sconfitta annunciando la restituzione del bottino.
Il presente di Weinstein è la prigione dorata di una clinica per ricchi molestatori, il futuro potrebbe essere una prigione vera. L'uomo infatti rischia condanna da 5 a 25 anni di carcere per il solo caso di violenza ai danni dell'aspirante attrice Lucia Evans, accaduto nel 2004, quando il produttore la costrinse a praticare del sesso orale. L'Fbi ha riaperto il fascicolo, e nel tribunale di New York non esiste prescrizione, ma difficilmente Cyrus Vance Jr, il giudice competente a Manhattan, porterà il caso in aula, data la difficoltà di dimostrare il crimine. Weinstein potrtebbe trascinare con sé nel fango anche la sua azienda, dove in molti avrebbero saputo che Weinstein pagava il silenzio di alcune delle sue vittime. «La società sapeva del comportamento di Weinstein da almeno due anni», scrive il New York Times.
Ieri la protagonista italiana della vicenda Asia Argento, che accusa Winstein di averla violentata nel 1997 nel corso di un incontro in una stanza d'albergo francese caratterizzato dalla richiesta di un massaggio da parte del produttore, ha detto di essere disgustata per essere stata attaccata sui social: «Ho denunciato uno stupro e per questo vengo considerata una troia #inItalia @AsiaArgento»,
ha scritto su Twitter l'attrice romana. Non la scagiona la giornalista e protofemminista Natalia Aspesi: «Se tu chiedi un massaggio e io il massaggio te lo concedo, dopo è difficile stupirsi dell'evoluzione degli eventi».
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