Cambiare è una legge della natura per ogni organismo vivente: solo gli oggetti inanimati si conservano uguali a se stessi. Anche Oasis, entrata ormai nell'undicesimo anno di vita, non fa eccezione e osa un passo di rinnovamento, nella forma e nei contenuti.
Rinnovamento non significa rottura. Significa, per un soggetto culturale, rispondere creativamente a un contesto profondamente trasformato. Per fare un solo esempio: quando il comitato scientifico di Oasis si riunì per la prima volta, nel giugno 2004, si era da poco conclusa l'invasione dell'Irak, Facebook era stato appena aperto mentre Twitter non esisteva ancora, la crescita economica era considerata inarrestabile e in Tunisia, Libia, Egitto e Siria i regimi erano saldamente al potere. Dieci anni dopo il panorama mediorientale somiglia per molti versi a un campo di battaglia sconvolto e irriconoscibile, come le trincee della Prima guerra mondiale descritte da Ungaretti.
Questi primi dieci anni di cammino ci consegnano alcune acquisizioni. La prima è il fatto del meticciato. Oggi il «meticciato fisico» è un dato in tutta Europa (ciò che rende assolutamente urgente impostare serie politiche sull'immigrazione), mentre a livello culturale tutto il mondo si racconta su un grande palcoscenico globale. Gli equivoci intorno a questa categoria sorgono quando non si comprende che essa è, almeno a mio avviso, la descrizione di una sfida e non l'indicazione per la sua (magica) soluzione. Il meticciato infatti è una categoria ambivalente. C'è un meticciato positivo e c'è un meticciato perverso, di cui Isis, con i suoi video hollywoodiani e i molti miliziani stranieri, fornisce un tragico esempio. A fronte di questa sfida, il programma di Oasis continua a essere duplice: da un lato capire come cristiani e musulmani si collocano nel nuovo contesto globale nel quale interagiscono, direttamente o a distanza, tra loro, con le altre religioni e con la «cornice secolare»; e dall'altro valorizzare le esperienze positive in atto, per contrastare le derive violente.
La seconda acquisizione riguarda l'ineludibile necessità, per compiere questo lavoro, di passare attraverso l'esperienza delle comunità cristiane orientali. Dieci anni dopo, la loro condizione in gran parte del Medio Oriente è drammaticamente peggiorata, fino alla persecuzione esplicita. Questo fatto, se da un lato invita a un rinnovato sforzo di supporto perché il Cristianesimo possa ancora essere presente nelle terre in cui è nato, dall'altro offre una concretissima misura della gravità della crisi che investe il mondo islamico contemporaneo, in molti casi incapace di pensare la differenza. Guardare al Medio Oriente con gli occhi delle sue minoranze ci risparmia quella fuga dalla realtà per cui si moltiplicano ovunque le iniziative di dialogo nelle sedi istituzionali e culturali, proprio mentre si lasciano insensatamente andare alla deriva interi Paesi, come la Siria, nell'indifferenza generale. Eppure nessuna conferenza potrà mai restituire la ricchezza di una vita di popolo, una volta che questa sia stata cancellata.
Infine la terza acquisizione riguarda la cura di un soggetto comunitario che si è dilatato nel tempo fino a comprendere alcuni intellettuali laici e musulmani, sulla base di una percepita affinità di pensiero.
E il nuovo passo? Lo articolerei in tre formule.
La prima, passare dalla descrizione alla valutazione critica. Rispetto a dieci anni fa alcune informazioni basilari sull'Islam sono ormai passate nei media. Ma il compito di conoscenza non è finito e soprattutto è sempre più avvertita la necessità di una visione sintetica, che superi il livello emozionale. Dove stiamo andando? A questa domanda non potrà mai rispondere compiutamente nessun racconto in presa diretta. Serve la fatica del pensiero, che si china a decifrare gli indizi del domani nel volto contraddittorio dell'oggi.
La seconda formula è «parlare con, non parlare su». E quindi, parlare quanto più possibile con i musulmani, non dei musulmani. È importante dunque conoscere le diverse disposizioni interne al mondo islamico, in cui molti sono seriamente preoccupati dalla piega presa dagli eventi, e valorizzare quelle prese di posizione che sembrano più vere e acute. Ma lo potrà fare solo uno sguardo ecumenico, capace, come insegna Papa Francesco, di guardare l'altro con verità.
L'ultima immagine è quella dell'Occidente allo specchio. La questione del rapporto con i musulmani ci ributta addosso il tema dell'Europa. Quali sono i famosi valori che dovrebbero arrestare nel nostro continente la barbarie terrorista? La libertà è pura scelta che si esprime al massimo grado nella provocazione o ha un contenuto di verità? Queste domande, che la cronaca degli ultimi mesi ha reso particolarmente urgenti, possono ridursi al «pretesto» per una polemica tutta interna.
Ma se nascono veramente dall'esperienza dell'incontro con l'altro, e dunque da un vero desiderio di comprendere l'epoca in cui siamo chiamati a vivere, possono aiutarci a immaginare il futuro delle nostre stesse società.Angelo Scola, arcivescovo di Milano
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