Ora l'Isis ci minaccia con un kalashnikov: «Assalteremo le chiese»

Foto annuncia la vendetta per Christchurch E Trump si sfila: «Non sono un suprematista»

Andrea Cuomo

E ora vendetta. La tremenda vendetta di cui l'islam più «cattivo» ha dato spesso prova. Temuta da tutti dopo il doppio attentato contro le moschee di Christchurch in Nuova Zelanda da parte del suprematista bianco Brenton Tarrant, che ha fatto 50 morti (un ferito si è spento ieri). E ieri esplicitamente promessa dall'Isis con una foto condivisa sui Telegram: un Kalashnikov nero avvolto nella bandiera nera e con una scritta bianca che raggela il sangue: «Vi riporteremo la sconfitta presto, nessuno si salverà. La risposta è in arrivo». Secondo Site, il gruppo di intelligence che monitora il terrorismo internazionale, i jihadisti stanno esortando i militanti ad assaltare le chiese occidentali. L'Occidente è minacciato dall'Isis, Tarrant da parte sua è minacciato dalle gang criminali di Christchurch. A dare la notizia il New Zealand Herald che riporta il chiaro avvertimento di un malavitoso locale: «Anche noi abbiamo qualche amico dentro». Esponenti di una gang si sono recati davanti alla Hagley High School per esprimere il loro cordoglio alle famiglie delle vittime.

Da Tarrant prendono le distanze tutti, anche il presidente degli Usa Donald Trump, chiamato in causa dal suprematista come «simbolo di una ritrovata identità bianca». La Casa Bianca ieri ha pensato di precisare, per bocca del capo di gabinetto ad interim Mick Mulvaney, che «il presidente Trump non è un suprematista bianco». «Non so quante volte dobbiamo dirlo - ha aggiunto Mulvaney -. Fare questa domanda ogni volta che qualcosa del genere accade all'estero o anche a livello nazionale, per dire Oh mio Dio, deve essere in qualche modo colpa del presidente, dimostra una grande politicizzazione di tutto quello che sta minando le istituzioni che abbiamo nel Paese oggi». Anzi, secondo Mulvaney i «modelli» di tarrant vanno cercati altrove: «Più che dipingere il killer come supporter di Trump, bisogna guardare ai suoi passaggi eco-terroristici nel suo manifesto e allinearlo con Nancy Pelosi o Ocasio-Cortez».

Ma torniamo alla Nuova Zelanda e al suo stordimento. Ieri l'aeroporto di Dunedin è stato chiuso per qualche ora per psicosi da pacco sospetto e sempre ieri è stata quasi ultimata la lista definitiva dei morti (come detto 50 dai 3 ai 77 anni, dei quali 4 donne) ed è iniziata la restituzione dei corpi alle famiglie. Ieri Farid Ahmad, il marito di una delle vittime, a sua volta sopravvissuto alle sventagliate di Tarrant, ha perdonato il folle suprematista: «Gli direi di ripensare a quanto ha fatto e di trovare in sé quel potenziale con cui potrebbe salvare l'umanità e non distruggerla».

Altro fronte di polemica, rilanciato dalla premier Jacinda Ardern, quello relativo al video «autoprodotto» in tempo reale da Tarrant e mandato in onda su Facebook. Secondo la Ardern Facebook non avrebbe fatto tutto quello in suo potere per bloccare l'orrenda testimonianza. «Servono altre risposte», ha detto il primo ministro, mentre Mia Garlic, rappresentante del social network nel Paese oceanico, ha sottolineato che la società ha «rimosso 1,5 milioni di video dell'attacco in 24 ore, dei quali oltre 1,2 milioni in caricamento». La Ardern è tornata anche sulla mail che Tarrant le aveva indirizzato per preannunciare l'assalto. «Sono una dei 30 destinatari del manifesto, mi è stato inviato nove minuti prima dell'attacco», ha detto sottolineando che nella mail non c'erano dettagli e non ci sarebbe stato tempo per intervenire.

Ieri ha parlato anche la famiglia di Tarrant. «Siamo tutti sbalorditi, non sappiamo che cosa pensare», ha detto Marie Fitzgerald, la nonna del suprematista intervistata da una tv locale.

Secondo la donna la radicalizzazione al contrario del nipote sarebbe avvenuta durante i suoi numerosi viaggi in Europa: «Solo dal momento in cui ha viaggiato all'estero questo ragazzo è cambiato completamente». La sorella e la mamma di Tarrant sono sotto la protezione della polizia e anche i familiari non possono avere contatti con loro.

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